JACK INGRAM (Live at Billy Bob)
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  Recensione del  30/04/2004
    

Jack Ingram, texano, è uno dei più validi musicisti dell'ultima generazione del Lone Star State, e, come molti suoi conterranei, ama molto esibirsi dal vivo. Non si spiegherebbe altrimenti la scelta di pubblicare un nuovo disco dal vivo (contando anche i primi due albums autogestiti, è il terzo su otto dischi, dopo il Live at Adair's e Unleashed) a distanza di soli tre anni dal precedente, con in mezzo il solo Electric, registrato in studio. Come molti texani Jack suona molto più country in studio che dal vivo (vedi anche Charlie Robison, altro texan boy che ha di recente pubblicato un ottimo live album), e Live at Billy Bob è di gran lunga il migliore dei suoi tre dischi registrati davanti a un pubblico.
Quindici canzoni, più di un'ora di musica corroborante: Ingram è un ottimo musicista e compositore, ha gente come Waylon e Steve Earle nel sangue, una voce espressiva ed una grinta non comune. Il risultato è un disco tosto e roccato, dove il country è sì protagonista, ma sempre con dosi massicce di rock elettrico e chitarristico, che il caldo pubblico mostra di gradire alquanto. Jack ha una band perfettamente rodata (Jens Pinkemell, Chris Masterson, Robert Kearns, Pete Coatney, Bukka Allen), e, tra covers e brani originali, mette a punto quello che forse è il suo disco più riuscito in assoluto. We're all in this together apre il concerto con il piede giusto, con un honkytonk elettrico e corale, tipicamente texano, con chitarre e piano sugli scudi.
La bella Beat up Ford è una delle ballate più popolari del nostro, una truck driving song ariosa e tersa, con uno script solido come una roccia ed un ritornello vincente. Il pubblico, caldo quanto basta, risponde con entusiasmo. Flutter è un sapido rock'n'roll guidato dal piano liquido di Allen, mentre Ghost of a man è, senza mezzi termini, una grande canzone: intro western (Waylon style), melodia pura, chitarroni al posto giusto, ritmo e feeling in abbondanza. Non è nemmeno caso di citare tutti i brani, tanto il disco è compatto, unitario, senza sbavature o cadute di tono: Ingram è uno di quelli giusti, ed il palco è la sua dimensione più consona.
Una rapida occhiata agli altri highlights (ma, ripeto, qui nessun brano è un riempitivo): Keep on keepin' on, elettrica, vitale, molto rock e poco country; She don't love you, fluida e scorrevole; Dim Lights, thick smoke (di Flatt & Scruggs, l'hanno fatta anche i Flying Burrito Brothers), resa in maniera spettacolare, da vera bar room band; la splendida Attitude & driving, figlia di Steve Earle. Senza dimenticare il finale, con una riuscita cover del classico di Waylon Jennings Are you sure Hank done it this way?, un sentito omaggio al grande outlaw prematuramente scomparso. Il resto scopritelo da soli, e non ne rimarrete affatto delusi. Texas live music at it’s best!