STEVE OWEN (Like an Atheist in Nashville)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Steve Owen è giunto al terzo album. È un cantautore atipico che ha dei punti in comune con l'ironia e la bravura nel costruire particolari bozzetti sonori di John Prine. Ma la sua musica ha anche delle influenze differenti: un tocco di bluegrass. una spruzzata di folk, un pò di Johnny Cash e Merle Haggard, qualche radice texana ed un pizzico di punk. Owen, che è nato a San Francisco. sa mischiare in modo geniale antico e moderno, usando strumenti come fisarmonica, fiddle, banjo e mandolino, ma aggiungendoci talvolta la tuba ed altri strumenti atipici.
Ha una sezione ritmica sgangherata che richiama talvolta i Pogues e delle liriche spesso tragiche, permeate da una musica che il più delle volte non lo è: liriche che parlano di solitudine, ubriachezza, omicidi, suicidi, amori finiti male, vita nella provincia più marginale. È un moderno menestrello con idee a iosa e grande talento nel trovare melodie adatte a delle liriche che altrimenti sarebbero molto difficili da collocare in qualunque ambito musicale. Ha già inciso due dischi, entrambi interessanti: Bottomless Joe ('95) e Quality Used Parts ('97). Non è uno che si spreca, parla poco e di lui si sa ancora meno. Per lui parla la sua musica. Like an Atheist in Nashville (bel titolo...) è sicuramente più riuscito rispetto ai primi due e coniuga alla perfezione la sua predisposizione a mischiare rock e country, folk e tradizione: merito anche dei musicisti che lo supportano in questo sforzo. Michael Israel e Rob Davis, batteria, Greg Rodriguez e Joe Kyle Jr, basso, David Reidy, chitarre elettriche ed acustiche, Kurt Stevenson, slide, Rob Berger, fisarmonica, Kurt Stevenson, chitarra, Paul Rustigan, organo, Patrick Conway, piano.
L'album è assolutamente brillante, sia per la parte musicale che per gli arrangiamenti, asciutti e creativi, che lasciano ampio spazio alla voce ma che sanno costruire un tappeto melodico di prirrf ordine. Il suono è più deciso ed elettrico, rispetto ai due dischi precedenti. Standing Still inizia fischiata, con un'acustica alle spalle, poi entra la band e Owen, voce chiara con inflessioni classiche, propone una melodia fluida e molto piacevole che sta a cavallo tra folk e country. Comfort, più elettrica, è un rock ln' country di presa immediata: orecchiabile, ha un suono potente alle spalle, con la chitarra di Reidy che gioca in casa, mentre il beat grezzo di Israel e Kyle fa la sua bella figura. The Ballad Of Wendell T. Phillips è il capolavoro del disco.
Ballata di stampo Prineano, ha dalla sua una splendida struttura folk, elettrificata con gusto ed abbelltita dall'uso della fisarmonica, mentre la chitarra di Stevenson lavora su un motivo di sapore messicano. Una canzone ricca dal punto di vista strumentale, suonata con estremo gusto che si fa ascoltare più di una volta: la parte centrale, fisarmonica e chitarra in evidenza, è difficilmente dimenticabile. Sing Me no Love Songs viene introdotta dall'organo di Rustigian che poi lascia spazio ad una canzone folk rock tesa e vibrante, giocata sulla voce e sulla solista con la ritmica un pò sbracata (c'è anche una riminiscenza di Cash nel suono di basso e batteria).
Notevole il ritornello, dove Owen viene doppiato dalla bella voce di April Cope. Gin & Mountain Dew parla di disperazione e di alcol: ma la canzone, testi a parte, ha un suono fresco, puramente cantautorale. Who's Gonna Buy Me a Beer? è un driving beat composto da Paul Collins: un brano che sa di Texas e di birra lontano un miglio, suonato con il gusto tipico della bar-room band. Room for Rent è più riflessiva, con il banjo che introduce la canzone, che poi si sviluppa su una tematica cara ad Owen, lasciando fluire liberamente gli strumenti in un intrico di suoni che rammenta il bluegrass (infatti manca la batteria). Mud, sempre elettroacustica (ancora senza batteria), è tra le migliori del disco. Si tratta di una composizione tesa, con una melodia struggente, che ha forti addentellati con la tradizione country & western, suonata e cantata con grande trasporto.
Il disco non mostra cedimenti e regala ancora momenti interessanti. Se Hangover? ripercorre il sentiero folk, ma attraverso una rilettura elettrica, Gravedigger ripropone il paragone con John Prine per una ballata profonda, riflessiva e piuttosto triste, ancora una volta dotata di una notevole melodia. Una armonica dal sapore dylaniano introduce A Flatlander's Lament un brano folk rock molto sentito, anche questa tra le più riuscite del lavoro, mentre I'll Be Home For Christmas, acustica, è una gentile cartolina natalizia, che parla di solitudine, ma dalle linee melodiche molto intriganti.