Phil Lee, classe 1951, non è un novellino. Ha fatto il session man, il sideman, il turnista, ha composto canzoni conto terzi, ma ha esordito in proprio solo lo scorso anno.
The Mighty Kind Of Love ha rivelato un musicista duttile ed intelligente che, pur agendo a Nashville, è in netto contrasto con la musica che impera nella mecca del country. Niente country pop, nessuna concessione commerciale, ma un suono elettrico in cui country e folk la fanno da padroni. Il disco ha avuto una buona accoglienza oltreoceano e Phil si è conquistato la stima di molti colleghi, Emmylou Harris, Gillian Welch, Jay Bennett ed Alison Moorer sopra tutti. Meglio ancora del disco precedente,
You Should Have Known Me Then coniuga rock e radici con gusto e una notevole intelligenza compositiva.
Lee non fa solo del country, fa anche del country, ma lo mischia a robuste dosi di blues e di folk, con la lezione del Dylan cantautore e forti reminiscenze dello stile roots di Guy Clark e Townes Van Zandt. Per questo lavoro, certamente più ambizioso ma anche più riuscito del precedente, il nostro si avvale dei servigi dei
Wilco, senza Jeef Tweedy, di
Gillian Welch e David Rawlings, Eric Holt, Allison Moorer. Quello che colpisce maggiormente è la freschezza delle composizioni, la varietà degli stili coinvolti, la nitidezza dei suoni e la raggiunta maturità vocale dell'autore. La produzione attenta di
Richard Bennett permette a Phil di spaziare a suo piacimento dalla ballata rurale
Three Faces In The Window, che sembra uscita dalla colonna sonora di
O Brother Wherc Art Thou? dove il nostro, su un tema rigorosamente acustico e fortemente tradizionale, si misura con le voci di Gillian Welch e David Rawlings, a composizioni, sempre acustiche, di chiara struttura dylaniana, come la turgida
You Should Have Known Me Then, che chiude in modo egregio il disco.
Nei sui quasi cinquanta minuti di musica l'album passa in rassegna una bella fetta di musica americana: dal rock 'n' country
Good For Me, deciso ma abbastanza qualunque, alla ballata country rock, distesa e piacevole,
Babylon. E si addentra ancora più profondamente nei meandri del suono americana con
Just Some Girl, che sembra uscita da un disco di Todd Snider prima maniera o del vecchio Steve Forbert, con quell'armonica spessa ed un suono fluido e molto roots oriented.
Carl's Got Louiseè un rock 'n roll di stampo classico, venato di blues, gustoso e suonato con il piglio giusto mentre
Jemima James ha la struttura di un vecchia canzone di The Band. Un disco dai suoni veri, che mischia antico e moderno, ma che risulta intrigante e stimolante al tempo stesso per i continui cambi di suono tra un brano e l'altro.
Come dimostrano la ballata tradizionale
Nobody's Gotta Know, dal ritornello che si memorizza al primo ascolto, al lento classico, un country puro e semplice,
Any Harder Than This, che farebbe la felicità del vocione caldo di George Jones. La bella
Crying, nobilitata dall'intervento di Allison Moorer, completa i giochi. Un disco di pura
americana che regala la giusta notorietà a
Phil Lee, a cui l'anonimato cominciava ad andare molto stretto.