JAMES McMURTRY (Live in Aught-Three)
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  Recensione del  30/04/2004
    

James McMurtry, texano doc, è un uomo taciturno. Ama i silenzi, parla molto poco e, in sua vece, fa parlare la sua musica. Non ha registrato molti dischi e non è neppure famoso. Sembra quasi, lui che è figlio d'arte, rifuggire volutamente la fama o, almeno, quello che la circonda. Dal 1989, anno in cui ha esordito con l'ottimo Too Long in the Wasteland, prodotto da John Mellencamp, al 2002, in cui ci ha consegnato l'eccellente Saint Mary of the Woods, James ha registrato solo sei dischi (Candyland, Where'd You Hide The Body, It Had to Happen, Walk Between the Raindrops).
Poco, considerando che è giovane, tanto, osservando come si comporta. Chitarrista di buon talento, James è cantautore completo: scrive canzoni dal sapore acre, profondo, triste, interiore, le veste di rock e le esegue con un trio dal suono vibrante. Il suo modo di vedere la musica è arcaico, chitarra basso e batteria e niente altro, ed anche per questo viene snobbato da critica e pubblico: niente rap, nessuna concessione alle idiozie, nessuna contaminazione hip hop, solo musica sana e diretta, niente di più, niente di meno. È chiaro che oggi, per arrivare a MTV, ma a James non gliene frega un cavolo, bisogna fare ben altro che imbracciare una chitarra e scendere in campo con basso e batteria. Bisogna prendere un produttore "in", mischiare ad arte sacro e profano, scendere a compromessi, ed allora ecco che le porte si spalancano e si parla di genialità, di novità, di contaminazione intellighente.
Ma la musica, a questo punto, se ne è andata a farsi fottere. Live in AughtThree è il primo disco dal vivo di James. Un disco arcigno e sudato, chiarristico ed essenziale, che non concede nulla alla teatralità, ma lascia grande spazio alle canzoni del nostro, alla sua chitarra, alla sezione ritmica dei Bastardi Senza cuore, la sua band. The Heartless Bastards sono Darren Hess, batteria, uno stantuffo, e Ronnie Johnson, basso, una locomotiva. Poi c'è la musica: settantotto minuti vitali, suonati con il cuore, cantati con forza.
James scende in campo senza preamboli ed attacca subito una versione asciutta di Saint Mary of the Woods (quasi sette minuti), in cui chitarra basso e batteria si scatenano. Segue la solida Fraulein 0, con arpeggi di chitarra che fanno il paio con la voce solida dell'autore, Bad Dreams inizia con un potente assolo di chitarra e la ritmica che entra dura: una canzone quasi raccontata. No More Buffalo è il primo salto di qualità. Sette minuti per rileggere una delle composizioni più belle del nostro. Tempo lento, intro strumentale, poi la voce prende posizione e la canzone si apre lentamente. Il tempo è quasi ipnotico, le parole vengono scandite e James regala momenti di grande intensità 60 Acres deve molto a Neil Young, mentre Rachel's Song è una bella sorpresa.
Intro acustico, poi la canzone prende posizione. Preparazione perfetta per una versione di grande impatto di Out Here in The Middle, tratta dall'ultimo album, una canzone che dal vivo cresce molto e da la misura della qualità e dell'intensità della scrittura di McMurtry. Choctaw Bingo è lunga, più otto minuti, ipnotica ed un po' ripetitiva, ma Lights of Cheyenne, tenue e coinvolgente e la nota Levelland chiudono immediatamente il cerchio e ci preparano ad un finale in crescendo. La dura I'm Not From Here e la popolare Too Long in the Wasteland, eseguita con una versione roccata e vibrante, che arriva sino ad otto minuti. McMurtry va dritto allo scopo, usa bene la voce e lavora di fino alla chitarra e Too Long in The Wasteland è la sublimazione della serata.
Il concerto si chiude con una cover, la toccante Rex's Blues di Townes Van Zandt, che il nostro interpreta alla sua maniera, elettrificandola molto, ma lasciando comunque ampio spazio alla melodia originale.