PETER HIMMELMAN (Unstoppable Forces)
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  Recensione del  30/04/2004
    

Nonostante sia ormai noto come attore (televisivo), Peter Himmelman vanta un lungo e dignitosissimo trascorso di rock'n'roller. Originario di Minneapolis, una fucina di outsider, ha esordito nel 1986 e da allora ha collezionato una dozzina di album (compresi un paio di apprezzatissimi dischi di canzoni per bambini) mettendo in risalto un songwriting lineare, senza grandi pretese, molto nitido nella proposta e altrettanto efficace una volta trasposto sul palco, dal vivo, dove, raccontano le cronache, pare che sia trascinante.
Ascoltando Unstoppable Forces, che è uno dei suoi dischi migliori, non si fa fatica a crederci: cinquanta minuti di squisito rock'n'roll songwriting, un sound chitarristico secco e tagliente, canzoni che in tre minuti ci mettono tutto (i riff, il ritmo, il cuore, un po' di poesia spicciola), qualche ballata acustica perché Peter Himmelman ha anche una bella voce, e merita di essere ascoltata. Un piccolo aneddoto, prima di entrare in Unstoppable Forces: pare che per convincerlo a tornare ad incidere, Sheldon Gomberg, basso e produttore, gli abbia telefonato tre o quattro volte alla settimana per un mese intero. Alla fine, in un modo o nell'altro, Peter Himmelman, ha dovuto cedere: "Ho pensato che l'unico modo per farlo smettere, ormai fosse quello di fare il disco, e così quando abbiamo deciso, si è presentato con un chitarrista e un batterista che nemmeno conoscevo".
Il batterista è tale Dave Raven, ma il chitarrista è Shane Fontayne, già con i Lone Justice e con Bruce Springsteen all'epoca del tour di Lucky Town e Human Touch e soprattutto a lui si deve l'alto tasso di elettricità di Unstoppable Forces. C'è spazio anche per certe raffinatezze come la steel guitar di Greg Leisz, un grandissimo musicista (The Death Of Dreams, One Shot e Discipline Of Rain) o le percussioni di Don Heffington, ma il nocciolo del disco sono quelle canzoni che sembrano rileggere la sintesi tra rock'n'roll e ballate da The River in poi. Provate a partire con le dodici corde e l'organo di Racing Off To Nowhere (un tema springsteeniano già nel titolo), poi scoprirete gli echi del miglior John Mellencamp in Love That Lasts e So Many Little Lies e arrivati a The Death Of Dreams vi sembrerà di aver finalmente superato quella fila per un biglietto verso il paradiso che vede ancora in coda Kevin Salem, Freedy Johnson, Matthew Ryan e un paio di dozzine di altri emuli di Paul Westerberg e segreti fans del mai dimenticato Willie Nile.
Qui, Peter Himmelman mostra di avere un tocco in più perché anche nelle ballate, l'argomento più delicato del songwriting, sfodera una classe che ultimamente è sempre più difficile trovare. L'esempio più evidente, tra i tanti che si possono scoprire in Unstoppable Forces, è In The Ceaseless Din, una ballata unplugged, semplice e commovente, con una chitarra acustica spagnoleggiante, un organo preso in prestito dalla ristampa di Blonde On Blonde e due note di pianoforte che sono un distillato di romanticismo. Ancora di più The Scent of Autumn Burningdove l'arte della ballata di Peter Himmelman trova la sua definizione in una precisa architettura di chitarre elettriche, con un finale epico e bellissimo.
A cui si aggiungono, con una generosità che ormai è sconosciuta ai più, due bonus tracks acustiche Josiah e The Best Kind Of Aswer, una grande canzone che ha portato molta fortuna a Peter Himmelman (inserita in una colonna sonora, ha vinto uno dei maggiori premi televisivi americani) e che è la conclusione perfetta di Unstoppable Forces, un disco intenso ed ispiratissimo.