TOM RUSSELL (Indians Cowboys Horses Dogs)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  30/04/2004
    

Questo è uno dei dischi più riusciti di Tom Russell. Si tratta di un album di canzoni dedicate al West: non è l'album di cui mi aveva parlato lo scorso anno, una sorta di storia legata ad un ranch ed ai cowboy in California, che avrebbe dovuto uscire accompagnata da un libro fotografico, ma un lavoro completamente diverso. Indians Cowboys Horses Dogs è solo una raccolta di canzoni dedicate al West, alla sua epopea, alla frontiera, al border: è il terzo disco che Tom dedica alla musica che preferisce, dopo Cowboy Real e Songs of the West, ma è sicuramente il più bello.
Non è un concept album, anche se il concetto di base rimane la frontiera con le sue storie, le sue leggende, i suoi miti, le sue realtà. Ci sono alcune canzoni nuove scritte di suo pugno, sette, le sue radici, il suo grande amore per Bob Dylan, la sua passione per la musica di confine, la partecipazione di Joe Ely. Infatti, oltre ai brani suoi ci sono delle versioni accattivanti di El Paso (di Marty Robbins), Lily Rosemary & The Jack of Hearts (di Bob Dylan) e The Ballad of Ira Hayes (di Peter La Farge): tre canzoni da storia del rock.
Tom ha migliorato la voce, già si notava sui precedenti lavori, soprattutto Modern Art, The Man From God e Borderland, il suo pathos interpretativo è cresciuto, la sua profondità si è ispessita. Quindi, oltre che autore, diventa sempre più interprete, come conferma la cover di El Paso, la splendida border song scritta da Marty Robbins nel 1958, da sempre uno standard nei concerti dei Grateful Dead e, a mio parere, la più bella border song mai scritta. El Paso nasce a nuova vita, con un trattamento molto semplice, voce chitarre e fisarmonica: ma metteteci la voce di Tom, la fisa di Joel Guzman e la chitarra di Andrew Hardin e potrete immaginare cosa ne viene fuori.
Un capolavoro, come l'Hey Joe di Deville, con tanto di critos mexicanos ed un feeling che solo uno che ci vive può tirare fuori dal profondo. Ma non basta. Il disco si apre con una composizione di Russell Tonight We Ride (a parte l'intro suonato dalla Plaza Monumental Juarez Bull Ring Band), una border ballad di sapore mexican, in cui folk dylaniano e musica nortena si fondono in modo mirabile, con Guzman che ricama attorno alla voce di Russell.
Seven Curses è una composizione poco conosciuta di Dylan (è apparsa su Bootleg Series Voi 1/3), una folk song amara e suggestiva, che il nostro esegue con il solo Andrew Hardin dietro alla voce. All The Way For The Short Ride è una talking ballad di forte impianto country folk, evocativa e malinconica, intensa e coinvolgente. Bucking Horse Moon riprende certe tematiche folk care all'autore e si sviluppa su una melodia molto semplice, in cui due voci (Tom ed Eliza Gilkyson) ed un violino (Elana Fremerman degli Hot Club of Cowtown) fanno di tutto per renderla più evocativa. Rifare un brano come Lily Rosemary and the Jack of Hearts (Bob Dylan, sul magnifico Blood on the Tracks) non è certo cosa facile.
Tenere desta l'attenzione ed alta la tensione per quasi dieci minuti ancora più difficile. Ma Tom non solo non fa rimpiangere la versione di Dylan, ma ne regala una di grande presa. Con la voci di Joe Ely e di Eliza Gilkyson che si alternano alla sua, modulando così tre tonalità completamente diverse, ed il tappeto fluido costituito dalla chitarra di Hardin e dall'organo di Guzman, Russell porta a termine una versione secondo solo a quella del maestro.
Fare brani di altri è difficile, rifare certi brani è impossibile: ma Russell non solo lo ha fatto ma è riuscito a creare una sua versione, a dare il suo sigillo, il suo tocco personale ad una canzone che mai avrei pensato di ascoltare in una versione che non fosse quella di Dylan. Bella No Telling, gentile ballata scritta da Linda Thompson, mentre il medley Bacon Rind / Chief Seattle / The Ballad of Ira Hayes (le prime due scritte da Tom, la terza è di Peter La Farge) è una saga dedicata ai pellerossa. Il nostro inizia parlando, racconta una storia di povertà ed ingiustizia, poi lascia filtrare lentamente la melodia e l'epica del racconto si fa più intensa, sino alla svolta finale con l'amara The Ballad of Ira Hayes, una delle folk song più belle di sempre (Dylan e Cash ne hanno registrato due grandi versioni), anche se devo ammettere che le prime due canzoni del medley sono abbastanza piatte.
Un armonica dylaniana apre il tradizionale Old Blue, una canzone che risale ai tempi del West, una canzone di frontiera o di bivacco, che è stata tramandata per via orale e che mantiene intatta la sua forza. Non poteva mancare Woody Guthrie in questa saga del West filtrata attraverso una personale visuale folk. Woody non ha mai cantato il West, ma ha celebrato le sue pianure, quelle terre e East Texas Red mantiene intatti quegli elementi di epica e di integrità morale che sono da sempre stati alla base della sua musica e la versione di Tom è di qualità.
L'album si chiude con due composizioni di Russell. Una ballata di protesta, la prima che ha scritto, contro i pirati dell'edilizia e la gente che sta rovinando la sua El Paso, The Ballad of Edward Abbey (introdotta dal violino della Fremerman), e la toccante Little Blue Horse.