JOE GRUSHECKY AND THE HOUSEROCKERS (True Companion)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  30/04/2004
    

Dopo il brutto Fingerprints (2002) inciso senza la vecchia band, Joe Grushecky si ricrede e riconvoca di nuovo gli Houserockers la sua personale EStreet Band. Un ritorno alle origini, a quella Pittsburgh che lo ha visto, verso la fine degli anni 70, balzare alle cronache come il blue collar hero della città, capace col suo rock proletario e muscoloso di scaldare i pub frequentati dai lavoratori delle vicine fabbriche siderurgiche.
Pittsburgh da quegli anni è cambiata, non è più la città del Cacciatore, le fabbriche hanno chiuso ma la gente comune non ha avuto in cambio il paradiso anzi più che allora il futuro è uno scommessa e la vita una dura battaglia. Joe Grushecky è rimasto lo stesso di un tempo, il suo rock e le sue canzoni cantano la working class life, la precarietà del vivere, l'amicizia e le storie di quartiere, le bugie dei politici e il bluff del sogno americano. Come il suo amico Springsteen sta dall'altra parte della strada, vive le difficoltà di chi non sta nei piani alti della società e le canta con un rock e delle canzoni che sono schiette, sincere, non artefatte. Niente di straordinario ma una musica che nasce nei luoghi di tutti i giorni, nelle strade della sua Pittsburgh e suona come una credibile colonna sonora di un neorealismo urbano americano.
Gli Houserockers del bassista Art Nardini, del batterista Joffo Simmons, del percussionista Bernie Herr, del batterista Joe Pelesky, dell'armonicista Mare Reisman e del chitarrista Bill Toms gli sono sempre stati fedeli e con essi Joe Grushecky ha realizzato dei buoni album, intrisi di quello spirito blue collar che negli anni ottanta, nella East Coast degli Stati Uniti, aveva creato un vero e proprio stile di rock.
Anche in tempi recenti Grushecky aveva messo a segno dei buoni colpi: American Babylon (1995) prodotto da Bruce Springsteen era un disco di puro rock da strada nello stile di Lucky Town con cui l'autore cercò di fare il grande salto, Coming Home(1997) era un album pieno di belle canzoni, forse il più ispirato e personale tra quelli realizzati da Grushecky e Down The Road A piece era un live pimpante con scampoli degli esordi (l'inno metalmeccanico di Pumping Iron), canzoni scritte con Bruce e una bella versione di Brand New Cadillac dei Clash.
Poi il capitombolo di Fingerprints, subito corretto da questo True Companion che riporta il nostro sugli antichi binari con canzoni che sanno di ballata e ruvidi colpi da rock n'roll band abituata a suonare nei bar della classe operaia. Un disco onesto, sentito, suonato con l'energia di una band che, se non fosse per la copertina, si potrebbe scambiare per una giovane garage band invaghita di Springsteen, i Clash e i Replacements. Buone canzoni, tanto ritmo, rock n'roll a palla, un briciolo di R&B, qualche sferzata punk e titoli che ripercorrono la mitologia stradaiola della East Coast e della blue collar life. Dalla nervosa The Shape I'm In alle rollingstoniane A Shot Of Salvation e Strange Days, dall'eco springsteeniano con chitarre roventi di True Companion all'allegoria sociale di Silver Spoon, dalla cover di Dirty Water all'ombrosa e intrigante She's A Big Girl Now, un misto di DeVille periodo Miracle e Stan Ridgway, il campionario è quello dei jeans sdruciti, tshirt, Telecaster e una gran voglia di aggredire la vita col rock n'roll.
Poco importa se non si è più ventenni, i capelli sono brizzolati e bisogna stare attenti agli spifferi del pub perché si rischia qualche dolore alla schiena. Niente di nuovo sotto il cielo, solo onestà e una gran voglia di non arrendersi. Se può bastare, True Companion è un buon disco ma qui da noi c'è chi (leggi Cheap Wine e Graziano Romani) partito dagli stessi presupposti è andato più avanti.