C'è un solo sistema per riprendere la parabola discendente di una rock'n'roll band: ridurre le idee e le sfumature, alzare il volume, metterci un po' di sana energia e andare sul sicuro. È un cliché, ma come direbbe Liza Cody, funziona. Anche con
Martin Zellar e con gli Hardways, gente la cui passione è germogliata nei solchi consumati di The River, e non molto più in là. Per cui se il primo disco,
Born Under, era stato accolto come una benedizione, perché imparare da Bruce Springsteen è sempre meglio di un corso di marketing, subito dopo Martin Zellar cominciava a ripetere la lezione senza troppa fantasia. Fino alla prova del nove, ovvero la sua disarmante versione di
Darkness On The Edge Of Town su
One Step Up: la canzone è di quelle da trattare con le pinze anche soltanto quando la si ascolta, figurarsi riuscire a farne una versione degna di tanto nome e tanta storia.
Un passo falso e la parabola punta verso il basso, tanto che anche dal vivo (dove il rock'n'roll dovrebbe funzionare al meglio)
Martin Zellar & the Hardways convincevano poco o niente. La soluzione, a suo modo esemplare, è tutta in
Scattered: ambizioni ridotte, più spazio alle soluzioni di gruppo (gli altri sono
Scott Wenum alla batteria,
Dominic Ciolat al basso e
Dan Neale, ottimo, alle chitarre), canzoni che scorrono semplici semplici, lineari lineari, elettricità al giusto livello (molto alto, quindi).
Parafrasando il titolo di una delle più belle canzoni di
Scattered, si tratta di una
Low Road, una soluzione a basso profilo, ma questo è rock'n'roll, mica l'accademia: riff a valanga (tendenza John Mellencamp, questa volta) subito con
Here's To Everyone, basso e batteria che spaccano le pietre e le battute anche nelle ballate (come nelle luccicanti
So Far Away e What It Is I Feel), una solidità che gira attorno a quattro accordi, ma che non fa una piega.
Scattered, e ci sarà un motivo se è anche il titolo del disco, ne è la dimostrazione più efficace: è una canzone che, in altre forme, abbiamo già sentito da Dan Bern (non avrebbe sfigurato sul bellissimo
New American Language) o da Matthew Ryan passando per Freedy Johnston e Kevin Salem.
Same old story, però nell'autoradio funziona e a Martin Zellar, tutto sommato, non si può chiedere molto di più. Aggiungiamoci le chitarre modello Tom Petty e Mike Campbell di
Low Road e di Everything We Had, una
Barfly Blues che sembra ambientata in un saloon di Sergio Leone, qualche sfumatura anni Cinquanta (è da lì che, alla fine, attingono tutti) e una magica lullaby al pianoforte,
Always Be Friends, a chiudere il discorso: con
Scattered la parte buia della città è alle spalle, Martin Zellar è di nuovo sulla strada giusta.