Joe Ely mancava all'appello, lasciando da parte la riunione dei
Flatlanders, dal 1998, da
Twistin' in the Wind che seguiva, a sua volta, a tre anni di distanza il magnifico
Letter to Laredo. Joe è uno dei grandi ed i suoi dischi sono attesi come la manna da noi vecchi Buscaderos, da sempre alla ricerca di emozioni vere e di grande musica. Twistin' in thè Wind era un gradino inferiore a Letter to Laredo, anche perché ripeteva quelle intuizioni come la chitarra di Teje, che avevano reso grande il precedente, ma con
Streets of Sin Joe si presenta con un look rinnovato.
Torna a scrivere canzoni epiche come solo lui sa fare, ma fa anche il cantautore e mette nero su bianco melodie introspettive, usando elementi blues e persino un pizzico di jazz. Coniuga il rock con la dolcezza della ballata interiore, mischia i suoni del Texas con quelli del Messico, regala emozioni. Non sbaglia un disco dall'inizio dei novanta (ma non ne ha mai fatto uno brutto, il solo
Hi Res si può considerare il punto più basso della sua carriera) dal focoso
Live at Liberty Lunch a cui hanno fatto seguito, oltre ai due già citati.
Love & Danger e
Live @ Antone's. Una produzione scelta, misurata, senza invadere mai il mercato ma cercando di scegliere le canzoni migliori e di pubblicarle al momento giusto.
La sua poetica on the road e la sua vena epica sono ormai consolidate, come pure la sua voce limpida, che si distende sulle canzoni quasi stesse percorrendo una highway texana. Ely ha superato i cinquanta anni da un lustro abbondante e la sua musica, pur mantenendo certi stilemi tipici, si è fatta più riflessiva e meditata. Non si è seduto sugli allori, ha continuato a scrivere con il cuore e
Streets of Sin ne è la prova ulteriore. Un disco potente ma anche gentile, vibrante ed introspettivo, che si apre con la rockeggiante
Fightin' For My Life. Tempo veloce, un'armonica che fende l'aria, colpi di chitarra, batteria in levare e la canzone prende il volo: sarà sicuramente uno dei punti di forza delle sue prossime esibizioni dal vivo. È l'Ely più ortodosso con il Texas nelle ossa e quella voglia di rock mai doma,
I'm on the Run Again ha un inizio degno del Boss (grande amico di Ely) ma poi si apre e diventa una ballata classica, giocata su una strumentazione scarna e dotata di una forte vena epica.
Fluida e diretta,
I'm on the Run Again è il classico esempio della scrittura del nostro rocker e si candida immediatamente come uno dei brani di punta del disco. La strumentazione è semplice: sezione ritmica, chitarra, organo e niente altro. Al resto ci pensa la voce che modella la melodia in modo perfetto. Se la ascoltate un paio di volte, senza neppure accorgervi vi troverete a canticchiare
I'm on the Run Agaiiiinnn... La chitarra è affidata al grande
David Grissom ed è un ritorno benaugurate: David è superiore a Jesse Taylor e sa caratterizzare alla perfezione le melodie di Joe.
A Flood On Our Hands viene introdotta da piano ed armonica, un intro atipico: è il primo segnale di cambiamento nel suono del nostro.
Una balla lenta e malinconica con una strumentazione mai sopra le righe.
All That You Need è un buon brano rock, non particolarmente originale, ma che sta a pennello nel disco: una composizione tipica, sia nella metrica che nella melodia.
Run Little Pony è un rock meno ortodosso, con l'organo che punteggia la chitarra, mentre la voce si muove decisa: anche questa canzone è abbastanza atipica e mi sembra un gradino al di sotto del resto del disco. L'intro di
Streets of Sin è da antologia. La chitarra di Grissom lascia andare le note in perfetta solitudine, poi entra la band, ma non è un fragoroso scoppio elettrico, bensì un accompagnamento morbido che stende un tappeto fluido per una delle ballate più belle ed evocative del texano.
Una canzone fiera, che si ispira ai padri della musica americana, che ha Bruce ed Hank Sr nei cromosomi, che non lascia nulla di intentato e che si eleva decisamente nell'ambito della sua produzione. La chitarra fende l'aria, la base ritmica da corpo, l'organo si fa spesso e la canzone cresce, cresce, cresce...
95 South ha decise radici rock'n country, ritmo e tanta anima. È semplice, come le cose belle, si ascolta tutta d'un fiato e contribuisce a mantenere alta la qualità del lavoro.
Carnival Bum è più introspettiva, una sorta di talkin' blues a tempo di shuffle, con la voce del nostro che parla per poi attaccare un ritornello splendido (Love on Love...), quindi ritorna ad una atmosfera notturna, quasi bluesata ma con un vago tocco jazzy. Affascinante ed innovativa.
Twisty River Bridge torna al country, alle praterie, alle ballate senza vincoli, con l'armonica che stende il suo tappeto e la band che segue docile sino a che Joe non comincia a raccontare una storia legata alla sua terra.
That's Why I Love Like I Do ha lo spirito di
Woody Guthrie, una fierezza indomita ed un testo splendido. Ely parla sempre della sua terra e tira fuori dal cilindro una canzone intensa e profonda, dotata di una forza espressiva notevole: una ballata di indubbio spessore che ricorda i grandi della nostra musica e che introduce, per la prima volta nel disco, la fisarmonica. Ed è
Joel Guzman a sfiorare il suo squeeze box ed a creare quei suoni così caratterizzati che solo lui è in grado di fare Dal Texas andiamo verso il confine, la strada è a perdita d'occhio e la musica invade l'abitacolo: fiera, decisa, coinvolgente.
Who's Gonna Blow You Away è un'altra border song, gentile ed espressiva, giocata sempre su una strumentazione limitata, elettrica ma non più di tanto: un'altra canzone dalla forte carica emotiva che cresce lentamente, introducendo alcuni strumenti, come la chitarra sempre più in evidenza e la fisarmonica che comincia ad accarezzare la melodia verso metà per diventare protagonista assoluta nel finale. Chiusura con la particolare
I Gotta Find 0l' Joe. Una composizione dalle tonalità più crepuscolari che poi si apre (in questo disco ci sono almeno tre canzoni su questo stile) ad una linea melodica più palpabile. Un disco meno texano e più cantautorale, un altro tassello nella carriera di un musicista che ha scelto la via più coraggiosa per proporsi e non ha mai chinato la testa nei riguardi dello showbiz. Joe è più che mai uno dei nostri.