JOHN PRINE (John Prine)
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  Recensione del  30/04/2004
    

Con il senno di poi, cinque stelle. Non da parte mia, ma da parte della Stampa, soprattutto Americana. Ho ancora sotto gli occhi un numero di Rolling Stone dell'autunno del 1971, dove questo disco veniva criticato in modo cinico e si prendeva tre stelle per il rotto della cuffia. Oggi ne ha cinque, dovunque si vada a leggere. Il disco d'esordio di John Prine, un ragazzo di campagna originario di Maywood, Illinois, è il classico disco d'esordio che ogni artista sognerebbe di fare. Intelligente, stimolante, creativo, geniale ma, soprattutto, con una manciata di canzoni splendide.
Infatti questo album, prodotto da quella vecchia volpe di Arif Mardin, contiene più di un classico: Illegal Smile, Hello in There, Sam Stone, Paradise, Angel From Montgomery, Donald and Lydia. Sei canzoni straordinarie, su tredici, quasi fosse una raccolta di successi. Prine, uno della mia classe, è un cantautore completo che ha messo nella sua musica di tutto: folk e country, prima di ogni cosa, Dylan e Woody come libri di testo, ma anche rockabilly, blues, gospel e rock and roll. Testi ironici uniti ad una straordinaria musicalità, fanno di questo disco un capolavoro.
Prine viene presentato da Kris Kristofferson che, la leggenda racconta, lo ha scoperto in un club assieme a Paul Anka, e viene affiancato in questa avventura da musicisti di qualità: Reggie Young, Steve Goodman, Leo LeBlanc, Bobby Emmons. Ma il peso del disco è solo sulle sue spalle, sulle sue liriche, sulle sue canzoni. E se non vi bastano i titoli che vi ho detto eccone altri: Spanish Pipedream, Far From Me, Quiet Man e Six O'Clock News. Sentimentale e nichilista, sardonico e letterario, Prine ha segnato la via della canzone d'autore.