Avevamo perso le sue tracce. I suoi primi due dischi,
Highway e
Iowana, erano scomparsi nei meandri del tempo. Eppure
Jason Reed non ha mai perso la voglia di fare musica e lo smalto che aveva caratterizzato i suoi primi due dischi. Artista che si è sempre autoprodotto, Reed ha iniziato seguendo le orme di gente come il Boss, Steve Earle, John Hiatt, John Mellencamp: musicisti che hanno segnato la via della nostra musica. Chiaramente derivativo, sopratutto nel ruspante Highway, Jason ha cercato di trovare una sua via con lowana e, anche se ha venduto pochi dischi, ha mostrato idee e coraggio.
Poi si è fermato. Non aveva soldi per prodursi un nuovo disco, non aveva canzoni che reputava valide. Sona passati alcuni anni e, finalmente, ecco spuntare il suo nuovo lavoro. E
Smithville è quello che non ti aspetti: un disco maturo e personale, intenso e diretto. Un disco di rock, prima di tutto, di quel rock che abbiamo sempre ascoltato e che ascolte remo sempre, ma che non trova spazio nelle radio né sulle riviste di moda, né presso chi ama ascoltare suoni nuovi e non le solite chitarre che vibrano. Reed ha migliorato la voce ed è cresciuto nella scrittura e, questo è un fatto nuovo,
Smithville gode di un suono maturo e di una produzione di tutto rispetto. Circondato da sidemen d'esperienza come l'amico
Don Reineke,
Tom Simes,
Davey Sumner,
Carl Orand,
Rick Hoadley, Jason da un saggio della sua bravura.
Brani come la profonda
Move non nascono dal nulla. Una chitarra evocativa che lascia spazio alla voce matura e decisa dell'autore: una ballata elettrica di grande spessore che basa buona parte del suo fascino sulla melodia.
Smithville e
Thanks sono due brani rock dal tessuto classico, più riuscita la seconda, che ha un piglio deciso ed un suono diretto. Poi è la volta di
4th ofJuly, che non ha nulla a che vedere con la canzone di Dave Alvin dallo stesso titolo, ma che risulta una delle cose migliori mai incise dal nostro. Chitarra acustica, slide, e voce con tonalità basse, alla Steve Earle: solo questi elementi contribuiscono a creare una canzone di grande presa che sancisce la crescita dell'autore e la sua perizia nel muoversi in studio.
Reed non è più un novellino, ha voglia, feeling ed idee e
4th of July è il suo biglietto da visita più convincente.
Detroit Angel è nella norma, elettrica, ben costruita, con una base melodica già nota, ma il tutto funziona: una rock ballad venata di radici, fatta con gusto e senso della misura.
Artificial Heart, intro acustico, ha influenze country blues, sino a che l'entrata della band non la muta in una ballata degna del miglior Mellencamp.
Smoke inizia lenta, da spazio a voce e chitarra (ancora acustica), per poi aprirsi al resto della band: una formula che Jason usa spesso e che risulta efficace.
Trailer Park Trash è un'altra robusta composizione che sta tra il Boss e Steve Earle, elettrica e pulsante e dotata di una bella melodia di fondo.
Un violino folk apre in modo sorprendente
Days e la canzone si rivela tra le cose più belle e meno usuali del disco. Una canzone dal tessuto folk, dotata di una melodia suggestiva che la voce di Reed rende in modo perfetto: sicuramente una nuova via per questo autore tanto bravo quanto modesto. Chiusura tradizionale con il country blues
Treatment, in cui una slide ricama accordi dietro alla voce, che si ispira chiaramente a John Prine. Jason Reed ha fatto tutto con le proprie forze, merita non solo di essere aiutato ma di essere considerato per quello che realmente vale.