DAVIS RAINES (Parts Unknow)
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  Recensione del  30/04/2004
    

Davis Raines ha 45 anni ed è al suo secondo cd. I primi 35 anni della sua vita li ha passati ad accumulare storie, a vivere. Cresciuto in una zona rurale dell'Alabama, l'esperienza che lo ha maggiormente segnato, nel bene e nel male, è stato lavorare per il Department of Correction di quello Stato. In particolare quando è stato assegnato al Braccio della Morte di una prigione, Raines ha iniziato la sua presa di coscienza. Come per Hank Grotowski, il personaggio interpretato da Billy Bob Thornton in Monster Ball (bellissimo film che è valso l'Oscar ad una strepitosa Halle Berry), anche per Davis diventa sempre più difficile convivere con questi ragazzi in attesa di morire. Finché decide di cambiare il proprio destino: si laurea e se ne va a Nashville, per vivere di musica. Big Shiny Cars è il suo album d'esordio, e la sua canzone Poetry viene incisa da Pat Green, arrivando al numero 2 della classifica degli Album Country di Billboard.
Come dice lo stesso Raines "Il Dipartimento aveva affascinato il mio machismo; andandomene mi sono sentito come se avessi ritrovato la mia spiritualità". Davis Raines dimostra con Parts Unknow di aver metabolizzato quelle sue dure esperienze. Le sue canzoni sono piccoli ritratti di una provincia dura e polverosa, in bianco e nero, quasi senza speranza, e si dipanano come delle sceneggiature di film. Il cd è prodotto da Tricia Walker, interessante autrice e session woman del Mississippi (è autrice tra l'altro di Looking In The Eyes Of Love, canzone che ha fatto vincere un Grammy ad Alison Krauss). La Walker suona in tutto il cd, in maniera superba.
Fa dei gran numeri ad esempio in Big Doin's in a Small Town, coinvolgente ballata tersa e tesa, con Cash nel cuore e il violino di Bethany Dick a fa re la differenza. Le influenze dichiarate di Raines vanno dal movimento degli Outlaws, con Waylon Jennings in testa, ad Hank Williams ma anche alla black music di Otis Redding e Louis Armstrong.
Canzoni in puro stile country'n'western si alternano a ballate come Mr. X, dove la fisarmonica, suonata sempre dalla Walker, trasmette una malinconia struggente. Storie di genitori che piangono figli assassini o assassinati, un mondo dove i colpevoli sono a loro volta vittime di una realtà asfissiante; ma anche testi ironici, come Music City Blues, graffiante, quasi satirica, o My Everyday Boots, accorata ballata che l'autore dedica ai propri stivali: poche pennellate, con l'aiuto dell'armonica, per dipingere un quadro tenero che, anziché essere banale, ci porta nel quotidiano dell'autore. E a proposito di ballate, da segnalare Savage Love, splendida melodia e grande storia di un amore "normale", con una lei insopportabile quando è presente, ma con la sua assenza che diventa ancor meno sopportabile (una canzone che rispecchia tante storie d'amore, invero!).
Canzoni come piccoli film, dicevamo, che narrano storie di confine, laddove il confine è inteso anche come luogo immaginario fra il lecito e l'illecito, come in Roberts, The Dread Outlaw, che narra dell'amore di Mary per Roberts, terrificante fuorilegge. 0 canzoni che si rifanno direttamente alla storia di Raines, come l'iniziale Dead Man's Life. Difficile trovare una caduta di tono, o un momento noioso. Ballate melodiche di buon impatto, alcune addirittura radiofoniche, come la splendida Radioland (ma dove? In quale radio? Non nelle nostre, di sicuro), o Gentle on My Mind, rilassata e che si ascolta che è un piacere (unica cover del cd, è di John Hartford); alcune più scure, dove l'influenza della musica nera sull'autore si fa evidente, senza mai stravolgere l'essenza tradizionale e roots della sua musica (Big Daddy Longlegs, con un accenno di swing), mentre il lato più malinconico, disperato di Raines è presente nella triste Rage, strumentazione scarna e storia di ordinario sconforto.
Niente di rivoluzionario. Davis Raines non ha altro da offrire che buona musica e storie. Storie vere, di quotidiana disperazione, di normale alienazione, di persone sconfitte dalla vita senza aver avuto nemmeno la possibilità di combattere. Ma lo fa bene, appassiona, è piacevole e mai noioso. A ben pensarci in questo in realtà c'è molto di rivoluzionario. La rivoluzione della normalità…