C'è un movimento sotteraneo che da qualche anno ormai si sta facendo largo nel rock indipendente del Sud: non viviamo più nel mito delle grandi southern band, ma abbiamo piuttosto a che fare con giovani autori e ribelli dell'ultima ora che sono cresciuti a metà strada tra i ricordi un po' sbiaditi delle immense arene rock degli anni settanta, l'onda rivoluzionaria del punk e l'ignorata ma significativa rivalutazione delle radici degli Uncle Tupelo. Chi ha seguito con una certa curiosità le vicende di questi musicisti sa che nomi quali Drive By Truckers o Lucero incarnano alla perfezione questo nuovo spirito sudista: le chitarre si sentono ancora forte e chiaro, gli accordi sono sempre quelli, ma le atmosfere cambiano e si aggiornano con una sensibilità tutta provinciale, figlia dell'alternativecountry più sincero.
I
Glossary da Murfreesboro, Tennessee, sono in qualche modo l'ultimo anello di questa lunga catena, portando come contributo allo sviluppo della scena un punto di vista certamente non sovversivo, ma a suo modo originale in alcuni aspetti.
How We Handle Our Midnights è il terzo lavoro pubblicato a partire dagli esordi verso la fine del 1997, ma il primo che riesca veramente a sintetizzare le radici del gruppo. Raggruppati intorno alla figura di
Joey Kneiser, divenuto l'unico autore della situazione, i Glossary hanno affinato i loro eterogenei gusti, essenzialmente formatisi all'interno del classico suono indierock americano, per sposare una formula a metà strada tra le scosse elettriche di vecchie e nuove glorie del rock'n'roll (
Remember Me Tomorrow Tonight,
At Midnight suonano con i Replacements e gli Slobberbone nel cuore, giusto per delimitare un preciso universo musicale) ed un mood più malinconico che ricorda da vicino le lezioni del migliore alternativecountry (
These City Lights Shine).
Gli intrecci tra le chitarre dello stesso Kneiser e
Greg Jacks (senza contare che il tastierista
Todd Beene ne aggiunge spesso una terza) crea un muro elettrico molto compatto e funzionale alle atmosfere inquiete del songwriting di Kneiser. La produzione in compagnia di Brian Carter non lascia nulla al caso e sfrutta con convinzione l'anima provinciale della band, spezzando l'andamento decisamente rock del disco con qualche ballata acustica e desolata (
Daylight Saying), un tocco di pedal steel o un'armonica (
Hold Me Down,
Marigold Moon). Inoltre la presenza di una voce femmminile ai cori (
Kelly Smith, anche percussionista) propone una diversa chiave di lettura, che punta il rootsrock dei Glossary dritto verso la melodia (
Lonesome Stray) e persino in qualche sconfinamento powerpop (
When Easy Street Gets hard to Find). Una caratteristica quest'ultima che potrebbe rivelarsi lo spunto giusto per distinguerli dalla nutrita concorrenza nel settore. Di sicuro con How We Handle Our Midnights hanno mostrato una convinzione nei propri mezzi che li rende pronti per una definitiva affermazione sul nuovo teatro sudista.