Basta quella foto sbattuta in copertina, che ha il sapore amaro dell'America più periferica e dimenticata: il mondo dei
Richmond Fontaine è tutto racchiuso in quell'immagine da provincia depressa e sogni infranti.
This Is The Land of Broken Dreams recita un'anonima scritta su una roulotte, rovesciando le idee di giustizia e prosperità che sono a fondamento di un'intera nazione. Il songwriting di
Willy Vlautin, leader storico di questa formazione di Portland, Oregon, è da sempre popolato dai fantasmi della depressione alternativecountry, tratteggiando amari ritratti di vite solitàrie, personaggi colpiti da un forte senso di smarrimento e per contro da un assoluto desiderio di riscatto, in un paese che spesso, con un lucido cinismo, isola e condanna i meno fortunati.
Le vicende, quasi fossero short stories dal taglio letterario, sono narrate attraverso le parole di un ideale protagonista, Walter, che scrive brevi cartoline ad un amico dai posti più sperduti degli States (qui rappresentati da diversi intemezzi recitati, con accompagnamento strumentale). Il viaggio musicale di
Post to Wire si arrichisce così di uno slancio da concept album, raro da incontrare nell'universo delle odierne roots band. I Richmond Fontaine non arrivano per caso a questa maturazione, perché sono in giro da parecchio tempo ormai, tanto da affermarsi, con un passaparola insistente tra i cultori del genere, tra le band che con maggiore autenticità mantengono viva la fiaccola dell'alternativecountry.
La sensazione è che abbiano cercato con costanza la definitiva affermazione del loro suono, scarno e prevalentemente acustico, registrando il quinto lavoro di studio (senza contare un live a tiratura limitata) con la supervisione dell'esperto
JD Foster. Post To Wire è l'attesa conclusione di un viaggio iniziato già con il precedente Winnemucca (l'iniziale
The Longer You Wait pare proprio riprendere un discorso interrotto), disco in cui descrivevano una saga ambientata nell'omonima sperduta cittadina dell'Arizona.
Sono lontani dunque gli esordi e le pesanti dipendenze dai maestri Uncle Tupelo (ancora rintracciabili forse tra le note di
Montgomery Park), questa volta i Richmond Fontaine appaiono realmente un gruppo cosciente dei propri mezzi, eroi minori di un countryrock capace persino di delineare orginali parentesi di allucinato sound desertico (le elettriche
Hallway e
Willamette, nel segno dei Giant Sand di Howe Gelb). Le ballate di Vlautin si sono fatte ancora più spoglie (
Through,
Polaroid,
Alison Johnson) mantenendo quei tratti essenziali di malinconia (
Two Broken Hearts, la stessa
Post To Wire, cantata in coppia con Deborah Kelly delle Damnations) accentuati in principal modo dalla liquida pedal steel di
Paul Brainard, che nel suono della band rappresenta quasi una alternativa al classico solismo della chitarra elettrica.
Il pianoforte dello stesso Brainard e la voce incerta e spezzata di Vlautin aiutano a creare quelle ambientazioni desolate di cui la band da molto tempo si è fatta portatrice, oggi pienamente riassunte in
Post to Wire.