KEVIN MEISEL (Country Lines)
Discografia border=parole del Pelle

  

  Recensione del  30/04/2004
    

Lo dico subito senza mezzi termini: questo disco è uno dei miei preferiti di quest'anno. Kevin Meisel è un cantautore di Detroit di cui non so molto, se non che ha esordito un paio d'anni fa con l'album Coal and Diamonds, un disco di cui la critica ha parlato in termini decisamente positivi. Doveva aver ragione, a sentire il seguito di quel disco: Country lines è un grande album, pieno di canzoni di prim'ordine, suonate e cantate col cuore in mano da un musicista che è un'autentica rivelazione. Meisel è un cantautore dalla vena profondamente interiore e malinconica, ha una scrittura sofferta che rimanda a modelli classici, quali Townes Van Zandt, lo Springsteen più intimo, Gram Parsons e lo Steve Earle del "dopogalera" (e con Steve ha anche similitudini dal punto di vista vocale).
Ma Kevin non è assolutamente un musicista derivativo: ha personalità, un suo sound (un folkrock solo occasionalmente sfiorato dal country, il titolo del disco non deve fuorviare), una bella dose di feeling ed una capacità di scrittura che ha veramente pochi eguali fra le nuove generazioni. Parole grosse, è vero, ma date anche voi un ascolto a questo disco e, a meno che non abbiate un cuore di granito, vi innamorerete anche voi di queste canzoni, piccoli bozzetti semplici ma profondi, con testi che narrano storie comuni di persone comuni, con le loro gioie e le loro debolezze. L'inizio, con la title track Country lines, è già notevole: una canzone di impatto straordinario, una ballata dalle tonalità western ma dall'impianto rock, con una ritmica veloce, un toccante violino ed una melodia che entra dritta al cuore.
Da sentire e risentire più volte.
La lunga Stains mantiene il tono del disco ad altissimi livelli: lenta, discorsiva, toccante, appena sfiorata da una leggera fisarmonica, è una di quelle canzoni che solo i grandi sanno scrivere. La voce di Kevin ed una splendida chitarra messicaneggiante fanno il resto: grande ballata. Con la cadenzata Pretty little postcards, Meisel dimostra di aver assorbito al meglio la lezione di gente come Dylan e Springsteen, dandogli però un imprimatur di personalità notevole: altro brano sopra la media. E siamo a tre su tre, un inizio così fulminante non lo sentivo da tempo (e non è certo finita qui).The story of his rise to kingdom come è un racconto per voce, chitarra, armonica e poco altro, ma con il feeling tipico di uno come il grande Townes; Broken heart tattoo è una country ballad classica, con una melodia irresistibilmente old fashioned ed un delizioso ritornello a due voci.
She's gone è il brano più breve del disco e, fino ad ora, il più elettrico: piacevole, ma un gradino sotto gli episodi precedenti. Per contro, Down in Memphis è la più lunga dell'album, ma ne è anche il capolavoro (insieme a Stains): inizia, e prosegue, con la voce sofferta di Kevin nel vuoto che tesse una melodia fluida ed evocativa, accompagnata soltanto da una chitarra arpeggiata e da un suggestivo violoncello. Una canzone straordinaria, vero manifesto di un album che mi ha lasciato a bocca aperta: alla fine dei suoi quasi otto minuti avrete solo voglia di risuonarla da capo. Junkyard è un uptempo elettrico decisamente godibile, dalle tonalità tra il blues e il gospel; Thicker than blood è l'ennesima ballata dall'incedere emozionante, acustica e notturna, come solo un songwriter di vaglia sa scrivere.
Doncha pawn yer diamond ring è invece una saltellante country tune, con accenni folk e ritmica rock: un cocktail trascinante. Il disco si avvia (purtroppo) alla conclusione: Drifter's son, cantautorale, profonda ed interiore, prelude alla finale Unmarked graves, ennesima gemma di stampo acustico, un acquarello di rara bellezza, tra folk tradizionale e country, perfetta per chiudere un album di questa portata. Kevin Meisel è un vero talento, e Country miles è il manifesto della sua arte. A me non resta che scoprire anche il suo disco precedente.