HANK WILLIAMS JR. (I’m One of You)
Discografia border=parole del Pelle

        

  Recensione del  31/04/2004
    

Su queste pagine non ci Jpr siamo mai occupati molto di Hank Williams Jr., figlio del suo grande omonimo, padre assoluto della moderna country music (e non solo), mentre, di recente, ci siamo (giustamente) innamorati di suo figlio Hank III, giovane ricco di talento al quale abbiamo addirittura dedicato una copertina. Un motivo vero e proprio probablimente non c'è: sarà che l'eredità del padre è una delle più pesanti in assoluto (stiamo parlando di uno dei pionieri della nostra musica), sarà che Hank Jr. non ha mai fatto il "grande" disco (ed a volte è scivolato maldestramente su testi troppo infarciti di retorica patriottica), ma è anche vero che, nella sua sterminata discografia, non è quasi mai sceso sotto il livello di guardia. Ha fatto alcuni buoni dischi, altri meno, ma è sempre stato un musicista onesto e capace, dotato di un'ottima voce, molto maschia (una via di mezzo tra Waylon e Charlie Daniels) e, più che suonare un country tradizionale seguendo le orme del padre, ha preferito rivolgersi ad una musica più tosta, con accenni quasi southern, tipica degli stati del Sud: uno come Travis Tritt, per esempio, gli deve sicuramente molto.
(Per chi volesse avere un'idea della carriera di Hank Jr., esiste un bel box triplo, intitolato The Bocephus Box -Bocephus è il suo nickname - recentemente ristampato con bonus tracks). Hank Jr. pubblica ora il suo nuovo album I'm one of you, e fin qui tutto normale: la sorpresa è che si tratta di un signor disco, uno dei migliori della sua discografia, come se la concorrenza del figlio gli avesse giovato.
Un bel disco quindi, tosto, roccato al punto giusto, pieno di feeling e senza la minima caduta di tono: Hank è in gran forma, si circonda dei soliti musicisti che si trovano anche a occhi chiusi (tra cui Paul Franklin, John Jarvis, Bryan Sutton, Pat Buchanan), sceglie le canzoni giuste, e mette a punto un lavoro che non deluderà i suoi tanti fans, ma, anzi, gliene porterà di nuovi. Musica del Sud, di quella sana, pensata con la testa, e non di grana grossa per i palati più disattenti (come spesso fa il suo collega Charlie Daniels).
Amos Moses, di Jerry Reed, apre l'album: intro di dobro, poi entrata dura di chitarra, la voce possente di Hank, una ritmica granitica, per un uptempo di chiara matrice southern. Liquor to like her ha la cadenza, la strumentazione e la melodia di un brano di Waylon Jennings (grande amico di Hank): più country della precedente, ma sempre molto elettrica. Just enough to get in trouble è un irresistibile boogie, tutto ritmo, sudore e birra, perfetto da ascoltare on the road; I'm one of you è una ballata tipica del nostro, ruvida e maschia, con ben poche sdolcinature nashvilliane: piacevole e ben costruita, si fa apprezzare soprattutto per il bel ritornello. Un inizio decisamente sorprendente, un Hank Jr. così tirato a lucido non ce lo aspettavamo.
Ed il meglio deve ancora venire. What's on the bar è un saltellante honkytonk (sempre molto elettrico), adatto ad una serata in un bar texano, dove birra e tequila scorrono a fiumi; Games people play è il capolavoro del disco: sorprendente versione del classico di Joe South, inizio per piano e voce, parte centrale con chitarre in tiro (niente country, 100% rock) e gran finale con suggestivo coro gospel.
La bravura dei musicisti e la bellezza della melodia fanno il resto: grande cover. Waylon's guitar è chiaramente dedicata allo scomparso Jennings, e tutto, dalla voce al ritmo al refrain, sembra uscito da un vecchio vinile del non dimenticato outlaw texano. Why can't we all just get a long neck? (unita in medley con Jambalaya, uno dei più famosi brani del capostipite della famiglia Williams), è la canzone più country della raccolta (ma niente sonorità molli), con accenti quasi cajun. La resa di Jambalaya poi, è irresitibile. L'album si chiude ad alti livelli con l'energica American offline, il rock'n'roll sudista Guitar money (e questo sarebbe country?), con ritmica secca e chitarre di fuoco, e la finale Devil in the bottle (non è quella degli Skynyrds), un lentaccio cantato con una voce da brividi, un'oasi di pace dopo tanto sudore. Bel disco, Mr. Williams: d'altronde, buon sangue non mente!