CORY MORROW (Full Exposure – Live)
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  Recensione del  31/04/2004
    

Sesto disco (e secondo dal vivo) per Cory Morrow, uno dei nomi di punta del nuovo corso della musica texana, che ci aveva molto ben impressionato con il precedente Outside the lines, piccolo vademecum di puro countryrock targato Lone Star State. Full exposure, è, come già detto, il secondo album live di Morrow (dopo il quasi omonimo Double exposure) ed è un'operazione molto più ambiziosa, in quanto al normale CD è anche accoppiato un DVD, una moda che sta prendendo sempre più piede in America, ma una novità per quanto riguarda un artista indipendente appartenente al cosiddetto movimento americana.
A noi interessa comunque occuparci del disco, che supera a pieni volti la prova: Morrow è maturato, ha grinta e ritmo, un repertorio che comincia a diventare importante, una band tosta e sa stare sul palco con disinvoltura. Full exposure, registrato ad Austin, è un signor disco live; settanta minuti intensi in cui Cory ripassa le miglior pagine del suo songbook, infilando anche un paio di azzeccate covers. Ma non è tutto: all'inizio ci sono ben tre nuove canzoni registrate in studio, prodotte dall'esperto Ray Kennedy (già partner di Steve Earle), tre gemme che ci fanno ben sperare per il prossimo studio album del giovane Texas boy. La rockeggiante Nothing better parte subito con un gran ritmo, i chitarre in tiro (bella la slide) e ... birra a volontà!
GTMO Blues è più country, ma mantiene la sua anima texana (quindi niente Nashville): ritmo strascicato e melodia discorsiva, il brano sembra uscito dalla penna di Billy Joe Shaver, una delle maggiori influenze di Morrow, insieme a Merle Haggard e Steve Earle. 21 days è una perfetta road song, dal ritornello epico, che richiama certe cose di Joe Ely. Tre belle canzoni, che ci portano alla parte live del disco, in cui Morrow è accompagnato da musicisti oscuri ma tosti che rispondono ai nomi di John Carrai, Jessica Murray, Glenn Shankle, Hoyt Stacy, Bobby Charles e llya Toshinsky. Le danze vengono aperte da Texas time travelin, che dopo una lunga introduzione si dispiega in tutta la sua fluidità.
Morrow canta bene, la band è precisa e puntuale come un orologio di marca, e riveste le canzoni di un sound compatto e senza fronzoli. Live forever è una riuscita cover di una delle migliori canzoni di Billy Joe Shaver degli ultimi anni; la limpida Drinkin' alone ricorda i racconti messi in musica da Steve Earle; The highway è un countryboogie molto trascinante, che il pubblico mostra di gradire alquanto. Cory Morrow è bravo, anche dal vivo ha più di una freccia al suo arco, conosce il suo pubblico e sa cosa dargli: della sana e ruspante Texas music, senza grandi implicazioni, ma with a lot of fun. Light on the stage è strepitosa: parte come una folk song tradizionale, solo Cory voce e chitarra, poi entra la band ed il brano si trasforma in una western song elettrica di turgida bellezza.
Il disco continua così fino alla fine, senza la minima sbavatura: meritano una citazione la roccata Love me (like you used to do), una canzone dell'ultimo album che il pubblico gradisce, l'ironica Songwriter's lament, sorta di talkin' blues texano, una cover ispirata della nota Are you sure Hank do it this way? di Waylon Jennings, cantata in duetto con Pat Green (insieme al quale, ricordiamo, Morrow ha inciso un intero album), le finali Big city stripper e Beer, conclusione a tutto ritmo, sudore e divertimento. Un bel disco: Cory Morrow si conferma artista di vaglia, di quelli di cui il Texas va fiero. Provare per credere.