Continuano ad essere un piccolo segreto, beniamini soprattutto delle college-radio dell'Arizona, luogo da cui provengono, eppure il battito sbarazzino e le chitarre ariose di
Roger Clyne e dei suoi
Peacemakers meriterebbero qualche attenzione in più. La ricetta è semplice: mischiano radici e pop-rock dal taglio radiofonico, imbastendo canzoni frizzanti e godibili fin dalle prime note di
Americano, title-track che accende i riflettori sul loro terzo lavoro di studio, complessivamente il quarto se si conta anche il live Real to Reel. Orgogliosamente autoprodotti, attraverso la piccola etichetta Emmajava, Roger Clyne & thè Peacemakers sono oggi un'istituzione del circuito roots-rock del Southwest, potendo dimostrarlo nei fatti, grazie alle vendite considerevoli conquistate dai dischi precedenti e all'esordio positivo dello stesso Americano, tra cui il fatto di avere debuttato ai primi posti nelle charts dedicate ad Internet (dati Bill-board).
Clyne, che resta il vero motore della band e unico songwriter della situazione, può vantare una lunga gavetta sulla scena locale, sfociata poi nella breve meteora dei Refreshments, brillante combo tra power-pop e robusto rock'n'roll che aveva viaggiato per diverso tempo di comune accordo con i cugini Gin Blossoms, verso la metà dei novanta. Chiusa quella sfortunata parentesi, si è portato con sé la batteria di
P.H. Naffah e ha trova to due nuovi compagni in
Steve Larson (chitarre) e
Danny White (basso), cercando uno sbocco più tradizionale e rootsy alle sue composizioni.
I sapori country-rock della sua scrittura sono emersi con convinzione, ma Americano sembra essere la perfetta quadratura del cerchio per il suo stile versatile, diviso idealmente fra campagna e città. Una brillante raccolta non c'è che dire, canzoni svelte e maliziosamente melodiche (
I Don't Need Another Thrill ed una
Leaky Little Boat che mischia ritmi in levare e ritornelli pop), un disco "americano" non solo nel titolo, ma anche nella sostanza musicale.
Parla infatti la lingua del migliore rock stradaiolo, citando a profusione il John Mellencamp di The Lonesome Jubilee (Counterclockwise con la fisa di
Skip Edwards), la rabbia urbana di un rocker cresciuto a pane e Springsteen (da sentire nel caso gli intrecci organo-chitarra di
Loco to Stay Sane), gli orizzonti rosso fuoco dell'Arizona e il border messicano (la parentesi mariachi della gustosa
Mexican Moonshine con la tromba di
Lee Thornberg), senza dimenticare un passato che affonda le radici nel tipico suono college-rock (
Love Come Lighten My Load).
Clyne possiede le giuste inflessioni vocali per accentuare il carattere epico della sua scrittura, storie popolate da immagini on the road, a volte forse un po' stereotipata, ma sempre ben accetta se l'obiettivo finale è quello di approntare un lavoro scorrevole e mai sotto il livello di guardia. Tutto il resto è sulle spalle di una band che cerca costantemente un suono compatto, magari poco innovativo, ma raramente così spedito e coinvolgente.