LYLE LOVETT (My Babe Don’t Tolerate)
Discografia border=parole del Pelle

          

  Recensione del  31/03/2004
    

My Babe Don’t Tolerate è la prima collezione di nuove canzoni, cioè scritte dall'autore, da The Road to Ensenada del 1996. E per trovare un altro disco con canzoni scritte per l'occasione bisogna ritornare al 1992, a Joshua Judges Ruth. Infatti il doppio Step Inside This House ('98) era una collezione di covers, lo splendido I Love Everybody ('94) raccoglieva canzoni scritte prima del primo album (1982-1985), mentre il resto che Lyle ha pubblicato in questi lunghi undici anni sono un album dal vivo (Live in Texas, 1999), una raccolta (Anthology Vol 1: Cowboy Man, 2001), una colonna sonora (Dr T & The Women, 2000) ed una splendida antologia di brani sparsi su varie colonne sonore (Smile, 2003).
Di Lovett si può dire tutto, ma non certo che è un musicista prolifico: tra lui e uno come Ryan Adams c'è di mezzo tutto il Mississippi. My Baby Don't Tolerate non con tiene sorprese. 14 canzoni per quasi un'ora di musica, 14 canzoni suonate alla grande, in cui l'autore mischia le sue radici. Il country fa la parte del leone, ma c'è anche un solida dose di blues, un paio di brani gospel e tutto il campionario di finezze a cui l'eclettico texano ci ha abituato da molto tempo. Il suo spettacolo, e chi lo ha visto può confermare, è tra le cose più belle che si possono vedere: 17 musicisti sul palco ed un cocktail di stili travolgente. Come dimostra questo nuovo lavoro dove country e swing, jazz e gospel vanno a braccetto. Il suono è pulito ed essenziale, elegante ma mai sopra le righe, la voce ormai la conosciamo benissimo. Il resto tocca alle canzoni. Due sono già conosciute: San Antonio Girl e The Truck Song erano apparse sull'antologia country di un paio di anni fa, Cowboy Man. Il resto è nuovo e tutto da godere. Dall'up tempo Cut As a Bug, dove il blues va mano nella mano con una robusta dose di country, dove la band brilla per pulizia ed inventiva, dove Lyle canta con trasporto.
Ottima opening track, subito assecondata dalla splendida My Baby Don't Tolerate, un blues arcigno e fluido, dominato dal piano di Matt Rollings e dalla chitarra di Dean Parks. Ma è con la ballata country In My Own Mind, che raccoglie i classici stilemi del suono lovettiano, che il nostro mostra di avere ancora molte frecce nel suo arco. Una country ballad fluida e discorsiva, suonata in modo lineare, dove swing e musica d'autore si trovano ad occhi chiusi, una tipica composizione del nostro. Nothing But a Good Ride è più riflessiva e racconta della passione dell'autore per i cavalli. Una country song interiore, di quelle che si appiccicano addosso e si fatica poi a togliere di torno. Orecchiabile e ben costruita, è scuramente destinata a fare furore nei suoi spettacoli dal vivo.
Notevole il momento centrale in cui steel guitar e violino (Paul Franklin e Stuart Duncan) fanno la parte del leone. Big Dog mantiene alto il tasso qualitativo del disco ed è una classica canzone ben costruita e dal suono solido, niente di più, niente di meno, ma questo è ormai il marchio di fabbrica del nostro e, anche se dobbiamo aspettare anni per avere un suo nuovo lavoro tra le mani, quando finalmente diventa nostro rimane tra i preferiti per lungo, lungo tempo.
Come confermano You Were Always There, che vedrei bene in qualche colonna sonora di Altman, dai contorni raffinati e dalla melodia rarefatta e la tonica Wallisville Road tutta ritmo e colori, quasi una danza country ma con in nuce gli stilemi del nostro. Working Too Hard è più lenta: una ballata tra country e canzone d'autore. On Saturday Night è una valzerone country di pura marca texana mentre Election Day una composizione raffinata, con il violino in primo piano ed una melodia seducente di contorno.
Chiudono il disco due brani gospel, tanto per mostrare un altro lato della musica di Lyle. Il gospel è parte integrante dei suoi spettacoli e, da Joshua Judges Ruth, anche dei suoi dischi. I'm Going to Wait ed I'm Going to The Place sono due splendide canzoni, con ritmo acceso e grandi voci, che confermano l'eclettismo e la bravura di questo musicista unico. Lovett non ama i riflettori, non concede interviste, parla attraverso la sua musica e, anche se si fa attendere a lungo, non delude mai. Sicuramente uno dei dischi dell'anno, almeno per il sottoscritto.