Ridendo e scherzando o, per meglio dire, roccando e rollando i Bottle Rockets da Crystal CityMissouri, sono giunti al traguardo del sesto disco. E per una band che ha avuto sempre una certa sfortunaccia con le proprie case discografiche questo è un risultato non da poco. Fatemi immediatamente dire che questo disco a me piace, e molto. Intendiamoci, non siamo al cospetto di un lavoro che stravolgerà o, anche solo, influenzerà la musica rock che tanto amiamo ma, vivaddio, ce ne fossero di dischetti come questo in giro.
Non prolisso, né troppo corto, questo nuovo CD ha la classica durata dei vecchi padelloni di vinile e rappresenta, simultaneamente, un classico disco
Bottle Rockets ma anche una finestra sulla loro produzione futura, particolare quest'ultimo, dovuto principalmente alla nuova figura produttiva di
Warren Haynes che, dopo dieci anni di onorato servizio, va a dare il cambio a quel maestro di suoni rootsrock che risponde al nome di Eric ffoscoe Ambel. Diciamo subito che la band, dai tempi del loro ultimo disco originale (saltando l'ottimo tributo a Doug Sahm di due anni fa) ha subito, a parte i notori casini con le case discografiche, solo sfortune e drammi, anche di grossa caratura purtroppo.
Al cantante e, songwriter extraordinaire,
Brian Henneman prima è venuto a mancare il padre e a distanza di pochi mesi la madre si è lasciata finire dal dolore. Come se questo non bastasse, non rinnovano il contratto con la casa discografica, il secondo chitarrista, già membro fondatore, lascia e il batterista, anch'egli membro storico, per vivere si mette a fare il "roadie" al seguito di Shelby Lynne, sebbene poi il buon
Mark Ortmann sia rientrato nei ranghi, fortunatamente. Tutte queste cose non potevano non segnare l'output creativo di Brian, una persona tanto burbera all'apparenza quanto delicata e sensibile nella realtà quotidiana, ed ecco nascere pian piano questo nuovo disco in cui la band è riuscita addirittura a filtrare tutti questi umori negativi per rendercene conto in maniera formativa e positiva.
Non è un caso, quindi, che il titolo sia
Blue Sky, quei cieli blu che tutti noi desidereremmo vedere e che forse sono giornalmente sopra i nostri occhi, se solo alzassimo il capo e ci sforzassimo di guardarli. Sotto la guida esperta del loro grande fan, Warren Haynes, i Bottle Rockets si sono recati in quel di Hoboken (città natale di Frank Sinatra) e nel giro di una settimana hanno partorito Blue Sky.
L'apertura, come da copione per la band di Festus, avviene con un midtempo dai risvolti sociali,
Lucky Break impreziosita dalla bella chitarra di Warren. Segue
Man Of Constant Anxiety ovviamente giocata sul classico
Man Of Constant Sorrow, e il cui testo ci racconta l'ansia tipica di un impiegato contemporaneo che, anche quando è in vacanza, resta teso perché pensa a chi potrebbe tentare di fargli le scarpe in sua assenza, acquavite di puro "homo homini lupus".
I Don't Wanna Go Back, così come la canzone che conclude il disco,
The Last Time, è cantata dal bassista,
Robert Kearns.
Entrambi i brani risultano essere ottime composizioni ma, mi spiace dirlo, Mr. Kearns è bravissimo ad armonizzare, un po' meno a reggere un'intera canzone sulle proprie spalle.
Baggage Claim ci riporta su sentieri a noi cari, classica ballaci uscita dalla penna esperta di Brian Henneman con un'ottimo lavoro di chitarra.
Men & Women è un country tutto imperniato sulle differenze tra uomini e donne e non mancherà di far sorridere i più inclini verso la lingua e lo slang inglese tra di voi.
Baby's Not My Baby Tonight e la seguente
Cartoon Wisdom confermano quanto detto sino a questo momento: ottima musica, testi sagaci e salaci, miscelati a chitarre molto southern (ascoltare assolo di Warren Haynes, please).
Cross By The Highway tutta finemente suonata da Brian su una chitarra classica (corde di nylon per intenderci) presenta tutta l'atmosfera calda di una composizione di Willie Nelson, sebbene chiaramente non ci sia la sua particolarissima voce.
Pretty Little Angie è chiaramente influenzata dal tributo a Doug Sahm e sembra essere uscita dalla feconda penna del Texano.
Blue Sky, la titletrack, è un midtempo molto orecchiabile e "ottimista", condito da un lavoro di chitarra che, e non vorrei essere blasfemo, ricorda certi riff fluidi di chitarra del compianto Jerry Garcia (ho parlato di fluidità dei riff e non di assoli, non prendete il disco aspettandovi unajamband). Il momento più amaro del disco è alle porte e, ironicamente, segue la canzone più solare dell'album.
Mom & Dad è, ovviamente, scritta e dedicata da Brian ai suoi genitori. Meraviglioso lavoro alla slide di Warren e, credetemi, dopo averla ascoltata attentamente ho sentito prepotente il desiderio di fare uno squillo ai miei, di genitori ... EMOZIONANTE!
ID Blues è forse il brano più duro dell'album (sebbene la durezza sia relativa e non in valore assoluto) e presenta Brian e Warren scambiarsi assoli dal canale destro a quello sinistro del vostro stereo. In questa maniera il disco giunge al termine e, almeno per quello che mi riguarda, spero che non si debbano aspettare altri cinque anni per il prossimo episodio.
Abbiamo comunque già in programma un'intervista con Brian e Mark dove ne sapremo di più sui loro progetti presenti e futuri. Personalmente mi sento la coscienza pulita nel suggerirvi di comprare questo disco: non griderete al miracolo ma certamente non avrete motivo di lamentarvi.