MYRTLES (Nowhere to Be Found)
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  Recensione del  31/03/2004
    

Ecco una band in grado di risvegliare i desideri assopiti degli estimatori del più puro e duro suono alternativecountry, senza preoccuparsi troppo se certi accordi o atmosfere appaiano fin troppo familiari. La storia che accompagna la nascita dei Myrtles è in effetti assai simile a quella che ha portato all'improvvisa maturazione del movimento, verso la prima metà degli anni novanta: il background musicale di Gabe Daigle, Lee Barbier, John Kaufman e Michael Miller approda verso i lidi della canzone d'ispirazione country e roots tradizionale partendo dagli opposti del punkrock e della scena alternativa, militando in diverse formazioni locali quali Cecky Sharp, Gii Scout Heroin, Liquidrone e Bones.
Stanchi probabilmente di quelle esperienze, si sono avvicinati ad una scrittura rock più classica, influenzata sotto ogni punto di vista dalla lezione degli Uncle Tupelo e dei primi Whiskeytown: Gabe Daigle svolge così il ruolo di songwriter della situazione e di reclutatore nel progetto The Myrtles, trovando la chiave di volta nel coinvolgimento del violino di Talice Lee. Facili di conseguenza gli accostamenti con la coppia Ryan AdamsCaitlin Cary, anche alla luce di un robusto rootsrock elettrico che rimanda direttamente alle scosse del mitico Faithless Street, esordio della vecchia band di Adams. La centralità del violino e le atmosfere generalmente malinconiche che dominano Nowhere To Be Found non sono tuttavia semplice imitazione; manca senz'altro una personalità definita, ma il sound creato dalla band è estremamente affascinante e compatto, in grado già di proporre qualche elemento di atipicità. Innanzi tutto perché non sono affatto originari di qualche sperduta cittadina del Midwest americano, cuore del suono alternativecountry, bensì della più assolata Louisiana, Baton Rouge per la precisione.
Questo contribuisce ad aumentare la curiosità intorno alla band, che oscilla costantemente fra gli opposti di un feroce countrypunk (Devil in a bottle, Every day, la spigolosa Spend your spirit) e lunghe ballate, malinconiche ed eteree, in cui le chitarre di Lee Barbier mostrano un notevole potenziale. È quest'ultimo a contraddistinguere le peculiarità del suono Myrtles insieme alla forza lirica del violino di Talice Lee; tentando di sfuggire ai luoghi comuni del genere, i tempi medi di Week of Rain/Like the sun e After the show o la desolazione di Pale Blue Eyes ed Empty(… In Whiskey) tracciano nostalgiche ballate, che conquistano per la loro semplicità di arrangiamenti, riportando a galla lo sconforto di alcune pagine del migliore Neil Young con i Crazy Horse. Un esordio che attende solo una repentina conferma delle loro potenzialità.