Dopo l'inferno (la droga e la galera) Steve Earle ha ritrovato sé stesso, ha iniziato tutto da capo ed ha registrato una serie dischi di indubbio valore. Come autore ha scritto canzoni dure e commoventi, ha criticato aspramente la società in cui vive, ma nel contempo ha continuato a coltivarne i valori. Strana persona Steve Earle, schiva e quasi timida, ma dura come l'acciaio, cocciuta e costantemente impegnata contro la pena di morte ed i soprusi di ogni genere. Questo doppio album dal vivo, il secondo della sua carriera dopo il roccato
Shut Up and Die Like An Aviator del 1991, inciso in un'altra vita, è quanto di più reale, attuale ed essenziale Earle avrebbe potuto pubblicare.
Il disco rispecchia in toto la sua forza, il suo carattere, il suo suono rock, spesso disossato e secco, la sua musica diretta e priva di orpelli: non è un disco accomodante, ma un disco vero con le chitarre che sfrigolano, la batteria dura, il basso che pulsa. Non ha scelto un repertorio popolare, solo qualche canzone vecchia ma non le più note, ha privilegiato le canzoni a sfondo sociale e politico, che ben si compendiano coi brevi monologhi che costellano il doppio CD.
I brani arrivano più che altro dagli anni novanta, c'è anche qualche novità e qualche canzone del passato, dell'altra vita.
Just An American Boy presenta un concerto di quasi due ore, tra brani acustici e canzoni abrasive ed elettriche, e fa da companion al DVD, che uscirà il 21 Ottobre, una sorta di film/documentario diretto da Amos Poe che conterrà canzoni diverse. Il film si focalizza su uno spettacolo avvenuto a Portland nel Maine ed a Boston, il 14 e 15 Febbraio 2003, mentre il doppio CD contiene registrazioni dal vivo effettuate a Toronto, Ottawa e Bloomington alla fine di maggio di quest'anno. Earle è in forma, parla e canta con fervore e la sua band, i
Dukes, sotto la guida dell'esperto
Eric Ambel, ribattono colpo su colpo.
Pur criticando aspramente l'America, Steve è uno dei portavoce del movimento Americana, cioè di quella musica che celebra le radici della sua terra. Sembra un controsenso, ma invece è un fatto logico: preservare le tradizioni, ma muso duro verso chi le vuole distruggere. Non sono in molti pensarla come lui e, lo scorso anno, quando ha pubblicato
Jerusalem, che conteneva
John Walker's Blues, ha ricevuto critiche durissime in patria.
L'album si ascolta comunque con piacere in quanto alterna folk ballads, bluegrass (
Hometown Blues,
The Mountain), composizioni rock dal suono spesso ruvido. L'insieme da un quadro esaustivo della sua musica e rende alla perfezione un concerto del rocker di origine Texana.
Harlan Man e, soprattutto, la splendida
Copperhead Road (preceduta da un lungo intro strumentale in chiave tradizionale, poi però diventa elettrica) proseguono il discorso iniziato con
Ashes to Ashes, America V 6.0, che poi ci porta alla stupenda
Guitar Town. Il secondo CD non è da meno e inizia con l'acustica
South Nashville Blues, poi c'è l'oasi
Rex Blues/Forth Worth Blues (la prima delle due è di
Townes Van Zandt, versione decisamente commovente) tra country e blues, uno dei momenti topici del doppio album. Bella
John Walker's Blues, strascicata e sofferta, come pura la tonica rilettura di
Jerusalem, una canzone che non ha ancora avuto gli elogi che si merita, una ballata tra Dylan e radici, cantata con il cuore, una delle migliori della nuova vita di Steve.
The Unrepetant arrota le chitarre, poi i Dukes partono di gran carriera, ed il rock regna sovrano: è il brano che mette meglio in evidenza il lavoro alla solista di Eric "Roscoe" Ambel. Un'oasi acustica con la stupenda
Christmas in Washington, una delle canzoni più commoventi della scorsa decade, una ballata che racconta dell'America, degli eroi di Steve, di Woody Guthrie, una canzone giusta, vera, fiera. Ad un certo punto Christmas si elettrifica e chiude in crescendo: dieci minuti di grande musica.. Applausi.
Il concerto si chiude con una versione torrida, del classico di
Nick Lowe (reso celebra da Elvis Costello) (
What So Funny ' Bout)
Peace Love and Understanding: una rilettura elettrica, tirata, dura, con le voci che vibrano sulle chitarre, mentre la ritmica rimane secca. Alla fine, stanchi ma soddisfatti, Steve e band salutano la platea. Un disco live poco ortodosso, ma vitale come pochi, per un musicista che non si è mai assoggettato alle regole, almeno a quelle che lui considera ingiuste. A chiusura del doppio c'è un brano registrato in studio. Si tratta della prima collaborazione tra
Steve ed il figlio Justin, una ballata dai toni smorzati, abbastanza tenue, dalla marcata vena country, che i due cantano in modo sommesso:
The Time You Waste.