Quel sermone alla Al Green, chiesa di Memphis, Tennessee, quella contaminazione religiosa ha smosso il nuovo disco dei
DeWolff.
Il cantante/chitarrista Pablo van de Poel cerca il contatto con la gente (aggiungiamo il libro di John Steinbeck e l’ultimo film di Paul Thomas Anderson) e l’approccio al sesto disco
Love, Death & In Between è del tutto coerente, di più: sciolto.
Molto più sciolto per come “libera” il rock da condizionamenti, e su quel treno notturno del rock di una spumeggiante Night Train, i DeWolff con una carica del tutto personale, continuano a muoversi nel psychedelic southern rock da emissari Olandesi del soul.
Colabrodo con cui bucherellare qua e là il tessuto del rock che non può essere compatto in
Heart Stopping Kinda Show e per questo attrae, come le splendide ballate di
Will o' the Wisp,
Gilded (Ruin of Love) e
Mr. Garbage Man, con una
Rosita che giunge come un fulmine a ciel sereno: 16 minuti a imporre un approccio diverso, più che una storia è un viaggio tra Amore e Morte e quello che sta nel mezzo.
Cambi di ritmo che lasciano la melodia galleggiare tra i vuoti lasciati dal rock con una sorta di salto temporale all’indietro, si riaggancia alle spiritate e chitarristiche
Counterfeit Love e
Message For My Baby, vampirizzando l’ascoltatore, evitando accuratamente che le nevrosi degli altri, i dolori insanabili, le precarie identità, arrivino a minare le fondamenta di una serena vista sul rock in
Wontcha Wontcha.
Ecco, questi sono i DeWolff, con la spregiudicatezza che è solo degli spiriti luminosi, cioè di coloro che riescono a guardare naturalmente, e con curiosità, oltre i confini imposti dalla storia del Rock.