Psichedelia, rock anni ’70, altro viaggio, altro modo di indagare gli umori e la psicologia umana, mobile quel tanto per inseguirli nei moti del cuore dell’ottavo disco,
Force Form Free.
I
Dead Meadow e l’idea dell’improvvisazione (
The Lure of the Next Peak) come base di continui ‘venti di libertà’ (
Valmont's Pad) è come se le situazioni si fossero create spontaneamente proprio nell’atto stesso in cui hanno preso forma.
Malgrado tutte le apparenze, la magnetica base di avvio di
The Left Hand Path agisce sempre sottotraccia, e questi brani rovesciano, scombinano più di quello che appaiono inizialmente, proprio per quanta ‘vita’ condensata c’è dentro queste strumentali.
La voce di Jason Simon appare in
To Let the Time Go By, attraversa una ballata, raggiunge la melodia per poi oltrepassarla in Force Form Free, la ricerca di quell’equilibrio tra stabilità e benessere è come inghiottita e negata dalla monotona quotidianità.
La conclusiva
Binah rende in maniera più compiuta l’idea di questo nervoso movimento, dove si ritrovano tracce di un nomadismo chitarristico anni Settanta, mescolate però con le ansie e le difficoltà attuali.
I Dead Meadow continuano nella ricerca di una propria strada, contagia e porta a essere vicini, anzi accanto a loro.