Will Hoge è il suo modo di raccontare in musica, mai rigido o geometrico, nel quale le linee del rock intervengono da subito nella ficcante bellezza di
John Prine’s Cadillac per “ospitare” una storia, una narratività volutamente “aperta”, in cui intrecci di vita e dialoghi tra passato, chitarre e presente si dissolvono.
Un eterno outsider Will Hoge, carica parole e cuore in una ballata magica come
Queenie, nel rock di
It's Just You e l’ascoltatore non è un semplice ricettore, ma rigenerante temporale di ogni brano che fruisce, il passato come unica ancora a cui aggrapparsi per ritrovare sentimenti nobili?
Perché escluderlo.
Hanno il sapore aspro di una rivelazione improvvisa che squarcia le certezze (
You Are the Place e la spumeggiante
All I Can Take) pensando alle cittadine che scompaiono nella deliziosa
Ain't How It Used to Be, la poesia che sale, al grigiore dei palazzoni periferici densi e irregolari del nulla, quelli che si allargano a macchia d’olio, piace restare alle riflessioni di un’altra perla come
Birmingham.
Il finale è targato da un gran ‘storyteller’, Will Hoge, quello di
Dead Man's Hand e la politica di
Whose God Is This sul movimento MAGA (Make America Great Again, Trump docet..) è un circolo creativo, non si può arrestare, cambia la percezione del circostante.
È un circolo continuo, ci si confonde con
Wings On My Shoes , e se ne rimane condizionati e ci si ripresenta al mondo con una nuova esperienza acquisita.