Per arrivare a Ray Wylie Hubbard bisogna partire da
Gurf Morlix. Un po' perché i due hanno già lavorato insieme all'epoca di
Eternal And Lowdown, un paio d'anni fa, e un po' perché Gurf Morlix è la persona adatta a svolgere la funzione di alter ego. Pur essendo un eccellente strumentista (dalla chitarra elettrica al mandolino) nei suoi dischi solisti manca sempre qualcosa, se non altro quello spicchio di personalità che fa la differenza.
Quando invece si trova a muoversi un passo indietro (per esempio con Lucinda Williams o con Tom Russell) i suoi passaggi e le sue trame arrivano sempre a cogliere il meglio delle canzoni e dell'anima di chi le canta. Anche nel caso di Ray Wylie Hubbard, uno che di personalità ne ha da vendere. Sono almeno dieci anni che dispensa grande musica e
Growl non fa eccezione ed, anzi, è facile collocarlo tra i suoi dischi migliori.
A lavorarci sono essenzialmente lui e Gurf Morlix (con Rick Richards alla batteria), con alcuni ospiti: davvero speciali perché si tratta, tra gli altri, di
Buddy Miller, Mary Gauthier e Jon Dee Graham. Il suono somiglia molto vicino (e non potrebbe essere diversamente) agli ultimi dischi di
Lucinda Williams, anche se qui è un po' più scarno, profondo e cupo. Certe atmosfere dipendono anche dalla voce e dalle canzoni di Ray Wylie Hubbard un songwriter capace di masticare il blues, ma anche di citare Rainer Maria Rilke e Flannery O'Connor.
Per tutti questi motivi
Growl risulta un disco molto uniforme nelle scelte sonore, con Ray Wylie che esplora con maggiore convinzione i suoi blues. Detto che
Growl per intero, vale l'acquisto (ce ne fossero di dischi così), vale la pena vedere nel dettaglio qualche canzone. Magari partendo dal contrario, dal finale di
Screw You,
We'Re From Texas che ricorda gli ultimi dischi di un altro superbo texano, ovvero James McMurtry. Non soltanto il sound elettrico e sporchissimo, ma anche la struttura della canzone, come se Ray Wylie Hubbard dopo tutti questi anni avesse ancora voglia di imparare.
Un caso particolare, anche nel suo songwriting, è
Name Droppin' che sembra nascere da una session, con Ray Wylie Hubbard che lascia scorrere i nomi dei partecipanti (Jon Dee Graham, Mary Gauthier): una specie di ringraziamento dal vivo.
Il carattere della canzone è informale, ma suona benissimo con il dobro e la chitarra elettrica che si intrecciano in continuazione. Questo succede anche in
Rock'n'Roll Is a Vicious Game (e potremmo anche essere d'accordo perché sembra una canzone di Joe Ely), in
The Knives Of Spain dove le chitarre di Gurf Morlix tagliano davvero come coltelli spagnoli (che stando a Ray Wylie Hubbard, devono essere affilatissimi) e in
Stolen Horses che, come soundtrack di un romanzo di Cormac McCarthy, garantisce anche gli effetti speciali.
Merita di essere segnalata anche
Purgatory Road dove Ray Wylie Hubbard pur rigirando la classica formula del blues e usando strumenti vecchi di un secolo (il suo dobro è del 1930 ed ha resistito anche ad un'inondazione: quando si dicono gli strumenti di una volta) ne trae una canzone tesa, inquietante, intensa. Comincia con una rullata di tamburi, un basso che prende allo stomaco, il dobro e la voce di Ray Wylie Hubbard, poi c'è una slide guitar che sembra arrivare direttamente da un altro universo e le due chitarre sembrano incontrarsi ad un crossroad nel deserto, avrete anche la risposta alla domanda: cosa ci vuole per fare un bel disco come
Growl? Lo spirito giusto, il coraggio di non nascondere i propri blues, un bravo batterista, il tempo che serve e dell'ottima tequila.