Solo un paio di mesi fa abbiamo scritto, parlando del suo recente
Honey and Salt, che Jeff Black è una "eterna promessa del cantautorato Usa, che non è ancora riuscita a fare un disco di valore. Buone canzoni, arrangiamenti in tema, ma manca sempre quel quid che divide un disco anonimo da uno di valore". Ebbene dobbiamo rimangiarci quel giudizio, dopo avere sentito questo album. Se
Birmingham Road, il suo disco d'esordio datato 1988, era foriero di interessanti intuizioni, ma non concluso, se
Honey & Salt risulta secondario,
B Sides and Confessions Vol One è il disco che mi aspettavo da un cantautore vero.
Un disco asciutto, costruito su una strumentazione scarna, dotato di un'anima sua e, fatto decisamente più interessante, di una manciata di grandi canzoni. Black ha una voce espressiva, non assomiglia a nessuno in particolare, ha influenze che vanno da Springsteen a John Prine, ma sa scrivere canzoni profonde, in cui passione, cuore e melodia sono tutt'uno. Inciso con una strumentazione asciutta, l'album si erge su una serie di canzoni splendide. L'atmosfera è quella giusta: un piano che segna le melodie, chitarre per lo più acustiche, ogni tanto la sezione ritmica. Il resto spetta alle canzoni. Black preferisce le atmosfere intimiste, non si fa coinvolgere da suoni superflui, e lascia finalmente il segno Le canzoni sono tutte di suo pugno, come pure l'arrangiamento e la produzione. Ed il disco funziona.
Basterebbe ascoltare le due composizioni che chiudono l'album: la springsteeniana
Bastard intensa, profonda, pianistica, malinconica e la lunga
Higher Ground. Introdotta da un'armonica calda la ballata si sviluppa su un tempo di oltre sei minuti e lascia uscire alla luce una melodia profonda, in cui basso e batteria fanno da cornice allo splendido uso del piano (che è un po' la costante in tutto il disco), poi la canzone cresce sino a confluire in una coda strumentale struggente dove il piano diventa il padrone assoluto della melodia. Valgono da sole il prezzo del biglietto. Cantautore completo, Black finalmente rivela la sua vena, come confermano l'iniziale
Slip, introspettiva e pianistica,
Same old River, ballata acustica da cantautore puro,
Holy Roller, rock song malinconica e pulsante.
Il piano è ancora protagonista della limpida
Sunday Best, mentre
Athena è acustica e leggiadra. Il country si affaccia timidamente in
Gold Heart Locket, mentre
Cakewalk ha di nuovo il piano come strumento dominante e
Blues My Soul chiude degnamente un disco splendido dai sapori antichi. Una mercé molto rara al giorno d'oggi.