JACOB GREEN (Coexistence 1&2)
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  Recensione del  11/03/2022


    

Coexistence ha due facce e i punti di vista si moltiplicano, le prospettive si sfaccettano, gli spazi si animano creando un universo tra blues e rock alquanto composito che mira, se non a sovvertire, almeno a mettere radicalmente in discussione, innanzitutto, proprio le modalità di racconto della sua storia.
E d’altronde c’è qualcosa che si sposta nell’aria del mississippi blues, invisibile all’occhio umano, in grado di muoversi per differenziali e inclinazioni di atomi, fluidi attorno al ‘OneManBand’ Jacob Green, attirano in Good Grief, dei brani elettro-acustici come corpi luminosi instabili, fatti di turbolenze leggere ma incisive in Green Mountain Blues.
Flussi cromatici alla foce del delta blues in Bo Legged Boogie, granulosità colloidale nel’armonica aprono vasti spazi melodici in River West Blues e nella lucente bellezza di River Nest Blues, tendono a solidificare come verso percorsi montuosi, la scura All My Blues e rafforzando l'impeto della base elettrica da Foot Stomp Boogie che apre il disco 2 di Coexistence.
Sono come elementi naturali a perdita d’occhio: da un minimo a un massimo di scala del piacere la chitarra continua a pungere, Nothin' but Trouble, ogni movimento di Jacob Green sulle corde è un conglomerato di luce, il rock che cresce in I Need to Leave e con l’armonica in I Got The Blues e You Got The Greens circoscrive, crea il paesaggio di Coexistence.
Al nostro orecchio resta il compito di regolarne il movimento inverso al primo cd, mentre Runnin', Blade of Grass e il mantra nervoso finale di No reason to stop Rockin', enfatizzano il giusto spazio alla cigar box e alla chitarra slide che si incontrano, si scontrano e si confrontano, ognuno nella verità di Coexistence.