ENDLESS BOOGIE (Admonitions)
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  Recensione del  20/11/2021


    

Giro libero delle chitarre che copre l’arco di 2 anni e 2 sessioni, nella tranquillità di un arcipelago vista Stoccolma e nel recente studio di Brooklyn.
Paul Major, Jesper Eklow e Matt Sweeney si calano in un limbo chitarristico che si accende e si propaga nei 22 minuti di The Offender, come una colata lavica da un vulcano che diminuita l'eruzione dal cratere ovest.. irrompe ancora più veemente dal cratere sud.
Massa di suoni perché in Admonitions lo spazio alla melodia non è un luogo, ma un soggetto, non è un'area, ma una forma quasi solida.
La luce è cupa, oscura, tagliente, il respiro degli Endless Boogie è veloce, mai superficiale nel senso che esaminano accuratamente le superfici del rock e della psychedelia, penetrandole a lungo a sentire Disposable Thumbs, nella calma apparente e magnetica di Counterfeiter fino alla trascinante Bad Call.
Si esplorano, ovviamente senza alcun pregiudizio, i limiti inferiori dell'uomo come una sorta di palombaro delle profondità umane, Admonitions ce le riporta in superficie, le rende talmente normali da farle apparire come ordinarie.
Negli altri 22 minuti, quelli di Jim Tully, è come se si viaggiasse lungo una linea parzialmente circolare e aperta, linea che progredisce melodicamente ma che ritorna anche su stessa e si attorciglia in un lirismo onirico e avvolgente.
Chitarre come cornici narrative in Admonitions (e si aggiunge anche Kurt Ville), con la funzione di posizionarlo nel tempo e nel senso del rock, e nei 17 minuti divisi tra The Conversation e The Incompetent Villains of 1968 il “narratore” svela il suo vero obiettivo.
Distillare dal corpo di Admonitions gli elementi che, in ultima analisi, ne contrastino la fluidità, per portarne alla luce le potenzialità profonde in un marcato senso di desolazione dove la bandiera americana sventola riflessa in uno specchio.
È lo specchietto retrovisore di un'auto rubata dagli Endless Boogie.