Continuano a piacere le Figure in un paesaggio che Andreas Diehlmann crea nel blues/rock, lo percorre abitualmente, e al quale ostiniamo ad adattarci.
Them Chains, la ficcante bellezza della Title-track, è semplice e diretta, ci porta in luoghi dove gli sguardi attuali sul blues/rock sono ciechi e ci permette di vedere meglio, di vedere oltre, per liberarci e goderne insieme alla
Andreas Diehlmann Band.
Them Chains è un altro gran mix di chitarre, ora corrono spedite (
Lola Sweet Rock'n'Rola) ora decelerano (la preziosa e luccicante
Found Myself Alone), il talento di Andreas Diehlmann è una continua scoperta e a dispetto della linearità del movimento di Them Chains, questo non può che essere verticale (
Made It My Way alla tosta
Riding In The Dark).
Andreas Diehlmann continua a cercare nelle forme del rock&blues classico le ragioni della sua esistenza, ma è il senso del movimento impresso alle sue melodie che ne rafforza le scelte (i dischi continua a produrseli nel suo studio di registrazione), spunta l’armonica di Thomas Feldmann in
Babe I Got To Go, splendidamente si fa strada, non “taglia” o “dissolve” la canzone, ma ce la restituisce nella sua interezza.
In un'epoca dove il frammento regna sovrano, e dove ormai il rock e il blues fanno parte dei piccoli jingle raccolti dentro spot televisivi, Them Chains silura il muro dell'ovvio e non concede pause.
Un paio di cover a chiudere,
The Green Manalishi dei Fleetwood Mac e la celebre
Little Red Rooster di Willie Dixon, Them Chains le ricaccia fuori dal loro stato essenziale e a suon di chitarre e percussioni, le cambia, si trasformano e divengono “altro”: cioè libere, contro il tempo dell'amore.
Perchè con Them Chains non arriva mai ‘troppo tardi’.