DOC OLIVER (Welcome Home)
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  Recensione del  30/09/2021
    

Doc Oliver segue una Terapia post-Afghanistan intrigante, nel garage di casa, la chitarra, una penna e qualcosa su cui scrivere canzoni.
In Welcome Home per il songwriter della california ed ex marine, si tira dietro il soprannome da soldato, Doc, e tante vicissitudini, anche gravi, dalla salute alle dolorose perdite in famiglia.
Dopo un Ep e un paio di single, il primo disco è un piacevole mix di americana, alt.country e rock, All and All e Helmand mettono subito sul piatto un suono denso e muscolare utile ad affrancarsi dall'apatia contemporanea che rende il quotidiano una mega Confezione luccicante, già vista, da Grande Magazzino virtuale.
La vita è altra cosa, non è un film utile a sognare, la gente, negli ultimi trent'anni, al cinema ci andava anche sotto la spinta delle ideologie.
Le contaminazioni agresti sono deliziose come Couldn't Wait e Vietnam Man, diventano membrana, sovrimpressione che unisce/divide i due spazi melodici di Welcome Home, si toccano anche grazie alla chitarra steel, la pulsante base elettrica macina stima in Doc Oliver tra Siren, Too Far Gone e Just in Case.
Colori del rock che a volte si confondono, che ora si attenuano ora si spessiscono, come pennellate di acquarello che debordano dai contorni, che giocano con la trasparenza: qua e là accesi e forti, invasivi e oscuranti, poi tenui e percepibili tra le varianti ‘roots’ di Elmer's, quasi a perdersi nel chiaro della luce e dell'aria dei 6 minuti di una magica Welcome Home.
Doc Oliver corre avanti, gli eventi affollano la memoria, il pensiero trasmigra e Welcome Home contrae il tempo e lo spazio del piacere.