TROY REDFERN (The Fire Cosmic)
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  Recensione del  15/09/2021


    

Troy Redfern e la chitarra, inscindibili, anche in The Fire Cosmic, si specchia nella sua vita, la subisce con una certa voluttà e, cosa importante, si sporca le mani con essa.
Rock e energia si liberano da Ghosts all'interno di immaginari spazi stretti e angusti che diventano ariosi, delle “prigioni spaziali” in Waiting For Your Love e soprattutto “sterminati spazi mentali” in Scorpio.
Troy Redfern e la chitarra che illumina The Fire Cosmic da sola, e con il suo essere “giusto” in tutto (nella durezza, mai facile, mai troppo complessa), riempie completamente The Fire Cosmic, lo rende “straripante”.
One Way Ticket ha il giusto scatto e accelerazione, fino a impennarsi e chiudere in cielo il mondo, quello di Love & War e On Fire, un mondo di chitarre che assilla, pedina, incalza e che difficilmente cercherete nervosamente di scrollarvi di dosso.
Quella “giusta” agitazione fisica che costringe a muoversi di continuo, come a fuggire da una presenza ossessiva, con la quale, alla fine, val la pena confrontarsi.
Come vagolare tra i rumori e le luci della città, in un universo che appare estraneo e distante, ma che insiste sulle esistenze del rock&blues in Lay That Love Down e Sanctify, fino a che il pensiero non entra a calmare il turbinoso oceano di The Fire Cosmic nella ballata di Saving Grace.
Resta lo spazio infinito di Stone che si riempie a poco a poco dell'azione umana di Troy Redfern, dove l'Uomo, la figura del Musicista, il Personaggio, sono la misura del mondo di The Fire Cosmic, il suo motore, l'indispensabile e il necessario.