Sesto infuocato disco per
Dirty Dave Osti.
Blues/rock chitarristico, un brand anni ’70 a cui resta affezionato e Noi con Lui, perché Retro-Sonic Blues Train finisce, in qualche modo, per creare una geografia tutta personale, uno spazio nel quale, noi ascoltatori, riusciamo a muoverci senza troppi problemi, quasi come se lo conoscessimo mentre la chitarra segna tracciati indelebili in Retro-Sonic Blues Train.
Nei vortici di
Kiss The Pain e di una indiavolata
The Drifter, a furia di sentirli, a furia di amarne la consistenza, a furia di sentirci dentro a quel territorio che lui ha creato, finiamo col sentirci, di tanto in tanto, felici di essere, nel profondo, dei bluesrocker.
In quelle fermate, mai troppe tranquille (da incorniciare il lavoro tra
River Of Shame e
Bleeding Wishes), Retro-Sonic Blues Train si dipana come un flusso narrativo, flusso esistenziale, flusso sonoro.
È come un fiume, che scorre ora delicato ora impetuoso per le sue sponde infinite (la ballata di
Seagull ai 7 minuti di una deliziosa
Baptism Of Fire), Dirty Dave Osti gioca con questi elementi, li fa rimbalzare da un brano all'altro, li arricchisce, li approfondisce e, talvolta, li smussa.
Spesso li indurisce, li rende materia grezza grazie a lavori secondari alla chitarra che mandano in fibrillazione la nostra emotività.
Negli ultimi lampi di
Gunnin' For Me e la ‘riflessiva’
Bullets & Booze,
Retro-Sonic Blues Train dimostra di essere un disco che inventa, racconta, mostra, ragiona e sragiona nientemeno intorno al blues/rock.
E poi l’ultima luce sprigionata da
Goldmine, talmente tangibile da ricordarmi quella sensazione di puro divertimento che mi pervade quando me no sto a guardare un quadro di Rothko.
Perché ci si può divertire con cose astratte.