No Balls, No Blues Chips funziona a meraviglia nel dissertare a ventaglio sul rock&blues del sud americano.
Henry Sauda (voce, cigar box) e Beppe Facchetti (percussioni) si muovono come in film a bianco e nero, non visto come una questione di economia ma perché permette di stilizzare, di andare verso l'astrazione del blues nel suono del delta e dello swamp (
Can't Sweep Away).
Il duo dei
Superdownhome rilegge le covers elevandone il piacere:
Homework di Otis Rush presenta gli ospiti, i primi sono i Nine Below Zero, il suono è un prezioso gioco chitarristico che si espande con l’armonica di Charlie Musselwhite anche in
I'm Your Hoochie Coochie Man di Willie Dixon, e con il loro agire perennemente febbricitante, ingigantiscono le belle impressioni ascoltate in un passato discografico florido di sorprese.
Riecco
Stop Breaking Down Blues di Robert Johnson (con la ruggente chitarra di Popa Chubby) e infine la band bresciana degli Hell Spet in
Booze Is My Self-Control Device, flash autarchici di sano blues&rock, mai slegati e indipendenti e soprattutto non simbolici, non esemplificativi se non in minima parte.
Ricche anche
24 Days,
Bad Nature e
Long Time Blues con Popa Chubby sempre in linea alla carica di
No Balls, No Blues Chips, e una
Down in Mississippi che punta a caricare a tutta, la sua forza d'urto sui Superdownhome.