ALLY VENABLE (Heart of Fire)
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  Recensione del  24/03/2021
    

Heart Of Fire è una luce nell’oscurità in questi tempi difficili, “la vita non è un mucchio di insignificanti e ironiche rovine” (pessimismo Pasoliniano) ma si inizia a combattere da Heart of Fire.
La chitarra si muove nelle asprezze del paesaggio con l'essenzialità di un cinegiornale a base rock in cui non c’è nulla di ordinario, è una cosa preziosa quando rallenta nel ventre del blues di Played the Game.
Ally Venable (giovane chitarrista/songwriter da un paio di decadi sulla scena rock/blues texana, poco più che ventenne ma continua a sfornare dischi), contrae l'azione alle corde della chitarra tendendola in Hateful Blues e dilatandone le reazioni sviscerandole con fermezza anche quando si trova a duettare con Devon Allman in Road to Nowhere e con il tributo di Kenny Wayne Shepherd, chiarificante e illustrativo in Bring On The Pain.
Ally Venable conferma tutte le belle sensazioni espresse nei dischi precedenti, ricreando un eccelso teorema dell’ascolto tra le toste Hard Change, What Do You Want from Me e Sad Situation e Do It in Heels, in un'analisi calzante e rigorosa del rock/blues, in quella lenta empatia che finisce per crearsi fra chi ascolta e chi suona.
E Ally Venable suona pensando al suo mentore Stevie Ray Vaughan, sempre base di ispirazione per lei, una purista dell’assolo che con gli 8 minuti di Tribute to SRV colma il vuoto e l'abisso al di là del tempo e ne articola il senso, l'invisibile, giustificandone il visibile con una perla di strumentale.
Come ritagliarsi un'immagine definita e proporzionata alle proprie capacità: Ally Venable.
Sale la nostalgia del Texas.