Fox Green e si respira il Sud Americano.
Ha un senso nel loro disco d’esordio, l'orizzonte a cui, ci piaccia o meno, lo vogliamo o meno, siamo assegnati e che, proprio per questo, oltre che assumere possiamo anche attivamente comprendere, cioè elaborare mentre la carica rock di
Cloud No. 9 e la nostalgica bellezza di
Completely Classified si impossessano in fretta dello sfondo.
Americana, la lingua di
The Longest April che viene continuamente masticata, digerita e ricreata da Wade Derden (chitarra e voce) con l’altro chitarrista Cam Patterson, sempre pronti ad accettare melodie che vanno avanti a pendolo: prefissi bucolici intriganti in
Every Single One, liberando melodie trasparenti come in
The Day Marc Bolan Went to Nashville e in un’altra intensa ballata come
Unbound.
The Longest April tende a riempire tutti gli spazi del sottogenere, dando di sé un'impressione di completezza e scorrevolezza quando l’elettrico acquista spessore.
Gioca con i suoi codici tra
Running e
Another Lonesome Man, li trasgredisce, e impone esso stesso i suoi codici nella sinuosa
Can't Wait on the Moon fino alla bellezza straripante di
One Road, il corpo melodico dei
Fox Green si flette al pari della morale, col tempo del rock, del nostro stesso senso dell'lo.
The Longest April (ballata acustica compresa) caratterizza il sistema singolare dell’autorialità dei Fox Green, quella forza con la quale esso si distacca da codici predefiniti, imponendo coerenza al suo ordine ribaltando stile e melodia in cui è inserito The Longest April anche quando sembra accettarne compunto le coordinate.
Cercate il modo di armonizzare al meglio il tempo? Affidatevi ai Fox Green.