Brandon Miller è uno di quei musicisti in grado di percepire, con e nell'immagine della chitarra, il respiro vero del mondo, di “mettere in scena” le irrequietezze dell'esistere e di riprodurre le urgenze della storia del rock.
Nei 2 dischi alle spalle (l’ultimo, annata 2017, un live a dir poco incendiario) predilige un suono sporco, spurio, slabbrato, ma forse proprio per questo risorge sempre, come in Virtue and Vice.
Il rock massiccio, potente, lunghe galoppate in note che pretendono attenzione: l’intro acustico di
Gone avvisa i naviganti di tenersi pronti a tuffarsi nel calmo torrente dell'eternità del rock, lì le anime dei grandi chitarristi passano e non si fermano mai, ascoltare la stessa
Virtue And Vice.
Avvolgente la bellezza di
Fire, illuminata da una luce calda, che richiama appunto quella della fiamma, ma è una luce ferma, alla Rembrandt, che fa acuire il calore del sentimento e della passione di
Virtue and Vice.
Dona alla chitarra una dolcezza intensa, all'espressione di quei vortici in note una profondità densa di malinconia e si allaccia ai 7 minuti di
Dirt To Stone, tra relazioni, amore e sogni sfumati un’altra intensa fuga chitarristica.
Brandon Miller plasma di continuo, a meraviglia, l'effige da rocker con la chitarra saldamente ancorata tra le mani (
Ain't Welcome Here No More e la roboante cover di Tom Petty con
Honey Bee) e quando l'emozione si incontra con la tenerezza, il tempo fugge lontano in
Bad Situation.
Al giro di boa di Virtue and Vice (sono passati 40 minuti, media 5 minuti a brano), Brandon Miller mantiene calda la pista tracciata con
Losing Control, su quello non si scappa, risalta invece l’idea di allargare gli spazi melodici all’americana (
Captured By You,
Road Less Traveled e
Love Ain't No Guarantee) e alla ballata, alla sua maniera però,
Win To Lose e i 7 appaganti minuti finali dell’altra cover,
While My Guitar Gently Weeps, di George Harrison.
Entrambe le scelte sono vincenti, sono come il sole a strapiombo sullo sfondo roccioso di Virtue And Vice, lussurioso e accecante.