Rough and Tumble, classic rock anni ’70.
Vi accoglie e si lascia vivere con una cordialità, freschezza e libertà formale da renderlo appetibile anche se 8 dei 10 brani sono stati incisi nei dischi precedenti, il trio dei Dirty Streets le (ri)abbraccia con un suono secco e diretto da restare ancora una volta sbalorditi.
Da
Good Pills a
Can't Go Back, invitano a seguirli in una sorta di labirinto, luogo di cunicoli chitarristici che si intersecano tra loro da percorrere di corsa senza affanno, strade che conducono a un senso nella folgorante cover di Joe South,
Walk a Mile in My Shoes, lì nella luce del giorno anche i suoni splendono.
Justin Toland, Thomas Storz e Andrew Denham hanno una visione diseguale e frastagliata del rock, come un ‘bianco e nero’ che evoca felicità e bei ricordi in un continuo aggrovigliarsi di chitarre e percussioni,
Itta Benna a
Think Twice.
L'immagine del classic rock, mutevole, accompagna l'oggetto espressivo in
Take a Walk e
Try to Remember, entra in gara con la realtà a distanza di anni senza pretendere di sostituirla e saturarla, i
Dirty Streets nel finale con
Voices, riescono anche a ritracciarvi una ballata del sensibile che solo l'arte della musica può svelare.
Non è un Greatest Hits, è molto di più, è molto meglio.
Rough and Tumble è come la squadra per cui si fa il tifo: non si discute, si ama.