Daniel Boone Parkway non poteva che essere dedicato a Daniel Boone, esploratore del Kentucky alquanto caparbio per come affrontava le ostilità degli Indiani al di là dei monti Appalachi, ma quel parcheggio intitolato a suo nome, nell’East Kentucky, ha cambiato nome, per quello di un politico, che per molti, lo meritava di più.
A noi la controversia tocca poco, come gli aspetti ironici, che tra le mani degli
Hillbilly J.E.D (band comparsa sulla scena musicale nel 2012 suonando covers, ora hanno 3 dischi alle spalle e un suono corposo e avvolgente), possono suonare bonari o anche graffianti, innescano curiosità dalla ballata di
Daniel, in coda la chitarra elettrica inizia a liberare un proprio fascino, liberatorio nella suggestiva bellezza di
What Don't Kill You, inizia a corrodere e ottenere i suoi scopi in modo più ‘sottile’ e lampante.
Daniel Boone Parkway è un continuo mix tra sfondi roots e rock, ballate baciate dalla malinconia bucolica di sottofondo (
Grassy Holler,
Raised in a Coal Camp e
The Flood) e con chitarre che viaggiano a basso voltaggio nella splendida
Back to the 90's, hanno la giusta misura con la melodia, la piena padronanza dei propri registri espressivi anche quando il voltaggio si impenna in fretta in
Damn Ghost.
Non vengono oltrepassati, se ciò avviene è sotto l'egida di un robusto songwriting e lo stemperano con le giuste vibrazioni elettriche (
Broken Mess e
What You're Looking For), l’armonica in
Papaw è proprio quel sovraccarico che mancava e fa buon peso a un’altra ballata di spessore.
Il disco degli Hillbilly J.E.D è come
Lonely Window, brano conclusivo di Daniel Boone Parkway, folgorante: in pochi minuti. si accende e dilata la sua attrattiva.