Marja Boender spinge con la voce, Sebastiaan Fledderman con la chitarra. Blues/rock targato anni ’70 capace di scavare dentro la nostra ‘società in Lockdown’, come fosse uno psicanalista con un martello gigantesco e contemporaneamente sottile.
Un power trio olandese, i
Moondaze, con un montaggio serrato, secco, senza insistenze melodiche e senza pause, regalano un disco pimpante, sgargiante,
Take It Easy a
Black Mirror, mostrano subito che quando la donna è il primo motore attorno al quale e dal quale tutto prende significato,
Six non può che restituire Amore per il rock, alle volte sembra già Sentito, più che Visto, eppure ci sorprende in
Backyard Jail,
You e soprattutto in
Masterpiece e
Don't Look Back, e ne siamo sempre abbagliati.
Creature of the Night è come un cartoon “per adulti”, fa provare emozioni inedite, di quelle che lasciano dentro una gran voglia di andare a teatro a godersi lo spettacolo "vero”, covid-19 permettendo (chissà in futuro, con mascherina e guanti..)
In
Memory Loss la melodia è come un folletto che si muove con una leggerezza di tocco rara.
Non sfugge alle ragioni del rock, non lo ha mai fatto Six.
E mai lo farà.
The Village ripropone un taglio così manicheo, così rigidamente innamorato del passato, un bene, non certo un male,
Alive lo conferma, in un gioco del domino che non ha fine, procede a cascata, fa perno sugli snodi nervosi della chitarra elettrica, una rete neurale del rock che non è un affresco è solo dannatamente trascinante.
Innerva, fino alla chiusura di
Limited, questa ‘graziosa opera prima’ da consigliare a chi ama definire la chitarra elettrica un oggetto demoniaco, nemico dell'umanità.
Musiche, ‘rumori remoti’, tutto acquista un significato in Six.
Ascoltandolo, il senso del suo spazio toglierà il fiato, e affascinati, in questo spazio Vi perderete.