Continua il momento felice dei
Jayhawks: dopo l'ottimo
Rainy Day Music, ecco (presumibilmente non a caso) la ristampa di
Blue Earth, disco bellissimo che alla sua apparizione non trovò il terreno adatto. In un certo senso era in anticipo sui tempi: nel 1989 erano sicuramente altri i suoni che andavano per la maggiore e il rock'n'roll sembrava aver riscoperto improvvisamente i Led Zeppelin. Per cui su questo strambo miscuglio di Gram Parsons, Neil Young, Byrds e The Band sviluppatosi nelle intenzioni di
Mark Olson e
Gary Louris (tutti e due voce e chitarre) con
Marc Pearlman al basso e
Thad Spencer alla batteria non erano in molti a vederci un futuro. Invece da lì a breve sarebbe esplosa la rivoluzione verso le radici del rock'n'roll: giusto l'anno successivo sarebbe uscito
No Depression (un titolo, un'idea fondamentale) degli Uncle Tupelo e tutti avrebbero riscoperto nell'ordine: le chitarre acustiche, le camicie di flanella a scacchi, l'indipendenza dello stare on the road 365 giorni all'anno, la bellezza di canzoni che da Hank Williams a Bob Dylan sembrano sempre uguali e invece raccontano mille storie diverse.
Ora, questa non è una gara e chi arriva prima merita un premio (anche a posteriori) però sarebbe giusto ristabilire, in virtù dell'eccelsa ristampa di Blue Earth, i pregi e le responsabilità dei
Jayhawks nell'andare alla ricerca all'indietro nel tempo. Scelta più complicata e rivoluzionaria di quanto può sembrare in un mondo dove se non sei trendy sei vecchio, se non guardi la televisione sei stupido e non sei di moda (scegliete voi la casella preferita), se ascolti ancora le chitarre sei un outsider. Rispetto al mondo cosiddetto normale, molto meglio la
Blue Earth dei
Jayhawks: qui le chitarre sono le benvenute (eccome), le ballate splendono di chitarre a volte cristalline (
Commonplace Streets è un modello che poi abbiamo risentito migliaia di volte), a volte intagliate nel feedback (
Red Firecracker suona come una purissima selezione delle migliori annate dei Crazy Horse, e c'è anche un frammento della melodia di Powderfinger), spesso e volentieri rivestite di un country & western per niente banale o casuale (
The Baltimore Sun, l'm Still Dreaming, Now I'm Yours).
Ascoltando bene, poi potete sentirci i Blue Mountain in
She's Not Alone Anymore, i Bottle Rockets in
Two Angels, persino i Whiskeytown in
Five Cups Of Coffee. Sono solo suggerimenti per sviluppare un percorso attraverso una bella serie di rock'n'roll band che hanno svolto un lavoro importante e in gran parte sottovalutato nella riscoperta dell'american roots music. Rispettando e sintetizzando il valore storico di
Blue Earth, questa ristampa gli aggiunge qualcosa di più. Rispetto all'album originale ci sono
tre bonus tracks in più:
Fingernail Moon, Two Minute Pop Song e Nightshade che non sono rimasugli in corso d'opera.
Fingernail Moon è un'ottimo country & western rivisto con una ritmica serrata, una pedal steel che va per conto suo e bellissime chitarre (acustiche ed elettriche),
Two Minute Pop Song prova un aggancio con i Beatles (con Gram Parsons, l'altra grande fonte d'ispirazione dei Jayhawks) mentre
Nightshade è puro e semplice rock'n'roll. Si tratta di outtakes fino ad un certo punto, perché suonano perfettamente nel contesto di
Blue Earth e chissà per quali motivi sono state estromesse all'epoca. Tocchi finali: la copertina (in digipack) è adeguata alle caratteristiche minimaliste dei Jayhawks ed è completa di una lunga nota di Chris Morris e di tutti i credits del caso. Un ottimo lavoro per un disco importante e da non trascurare un'altra volta.