Sonny Landreth e la giusta cattiveria alla chitarra slide, mai domata, la distanza della vecchiaia è ancora lunga.
Con
Blacktop Run andrete subito alla ricerca della sua storia, abbandonatevi alla fabula del lavoro alle corde della chitarra e all'emozione che ne vien fuori, approcciate dall’acustico della
Title track con un pregevole lavoro che si espande specie nelle strumentali (
Lover Dance With Me,
Beyond Borders e
Groovy Goddess).
La ricerca della matrice blues resta primaria, non si perde nel confronto con stili diversi (quella fisarmonica che serpeggia in
Mule e
Don't Ask Me, tratteggi caldi del Sud Americano, vitali per chi nasce in Mississippi).
Sonny Landreth mostra in Blacktop Run anche come guarda alla vita, alla chitarra traspare sempre quella gioia che uno si porta dietro dall'infanzia e sembra collegarsi alla morbida bellezza di
Somebody Gotta Make a Move, immersa in un continuo melodico in cui sogno e realtà davvero non si staccano più.
Nel finale una
The Wilds of Wonder, terra dagli spazi sconfinati, la solennità di un ambiente legato al rock, con la panicità di un recesso introspettivo in
Something Grand, il fascino di Blacktop Run resta immutato fino all’ultima strumentale
Many Worlds, ha dalla sua accelerazioni improvvise e indovinati ristagni, giochi strumentali che per Sonny Landreth sono l'illuminazione di un momento di chiarezza stilistica, Blacktop Run.