Un incontro lo scorso anno tra Devon Allman (figlio di Gregg Allman) e Duane Betts (figlio di Dickey Betts, spalla chitarristica di Duane Allman, e fratello di Gregg) è stato utile a disegnare un'altra faccia del mito della Allman Brothers Band.
Solido come un mattone il debutto della
Allman Betts Band, sorprendente per come si avvicina al rock sudista classico anni ’70,
Down To The River è come un'enorme roccia lavica vecchia di decenni che si erge nel mezzo del mito
Allman Brothers Band: un luogo difficile da avvicinare, un labirinto di anfratti, cunicoli impenetrabili per chi non è all’altezza, ma l’energica
All Night spazza subito via ogni dubbio.
Una goduria elettrica per tutti gli ‘ammalati di rock’: a sentire la bellezza sprigionata da
Shinin' e
Try, come vampiri, si ha continuamente bisogno di berne e la sindrome del tempo andato ci attanaglia e il nostro angolo di visuale sul mito sudista anni ’70 non è falsamente limitato.
Down The River seduce, invita al piacere dell'inebriante vertigine dello sfogo pulsionale alle chitarre della strumentale
Autumn Breeze di 8 minuti e sa colpire anche nelle ballate (
Down To The River,
Good Ol' Days e lo splendido omaggio al piano di Allman allo scomparso
Tom Petty, con una gran versione di
Southern Accents).
E dunque: equilibri di forze, spinte di pieni al rock in
Melodies Are Memories e di vuoti, ma solo per sfidare pericolosamente la gravità dei ricordi, verso l'alto o il basso, e quello della conclusiva
Long Gone è un tempo implacabilmente graffiato.
E un tempo che implacabilmente graffia sul corpo, lascia il suo segno per come coinvolge Testa Cuore e Immaginazione.