Un trio acustico formato dal songwriter
Boris McCutcheon pronto a ricominciare il suo ciclo vitale con mandolino, banjo, armonica, chitarra e si sovrappongono e si fondono, fino a che l’ascoltatore si trova immerso in un armonia (irre)quieta, nello spazio e nel ritmo di una realtà di confine, dove la matrice roots/bluegrass ci spinge nel cuore del selvaggio New Mexico.
La bellezza della splendida
Workin' and Dreamin’ rotola via come un ‘tumbleweed’ nel deserto e si protrae per 16 canzoni, 1 ora e 15 di gran musica quella degli
Hoth Brothers (con Bard Edrington e Sarah Ferrell) ballate penetranti, capaci di soffermarsi sulle cose e di costruire intorno ad esse poche atmosfere statiche e morbide (
Singing Grass,
Rendezvous Duel) per il resto sono armonie corali e bucoliche contagiose (
Bitter Frost,
Whiskey and a Woodstove e
O the Birds Still Sing) e sanno come schiudere e allontanare impercettibili, ma vertiginosi, abissi di malessere.
Ballate che sembrano annunciarsi alle porte della malinconia, per poi tornare immediatamente a guardare l'universo con
Flint Hills e
Rogue Wave, la deliziosa
Horses Are Made of Wind, gli Hoth Brothers studiano le coincidenze che funestano la nostra vita nello stillicidio della quotidianità, sanno come ironizzare sulla fragilità delle nostre determinazioni, sulle frastagliature dei nostri affetti.
January assume una saggezza autoriale e anche un’ottima profondità elettrico-acustica, la scrittura, le parole, entrano in circolo ed è come scavare un vuoto profondo, ed aumenta, con la forza convincente delle loro melodie (
Fault Line e
Balancing Act) fino alla chiusura di
Wild Robby, gli Hoth Brothers annusano l’aria di confine, ci vivono dentro, è un contatto epidermico con lo spazio agreste.
Workin’ and Dreamin’ è un disco che buca.
E rende convergente emozione e musica.