Terzo disco solista per
Derek Davis, carriera iniziata nell’Hard Rock e poi traslata nel R&B, il cammino diventa interessante con
Resonator Blues nella tradizione rurale del Sud Americano, fonte di luci e sguardi senza fine.
Per lo più è un ‘one man band’, suona percussioni, chitarra e basso (all’armonica c’è Charlie Knight, e si fa apprezzare in
Whiskey And Water e in
Prison Train), Resonator Blues è comunque un disco versatile, col suo sguardo lucido sul blues cattura immediatamente, vicino/lontano alla tradizione nella
Title track, aderente e in fuga da quei corpi incisi nella storia quando contrappone passaggi tra acustico e elettrico nello swamp/rock e delta blues:
Sweet Cream Cadillac, un tributo a Eddie James Son House, Muddy Waters nella bruciante
Mississippi Mud e poi ancora
Jesus Set Me Free e
Death Letter dove Derek Davis insegue dimensioni del tempo, dello spazio, del movimento nel blues ammalianti e ipnotiche, specie in
Unconditional Love.
Un paio di ballate tra folk/americana come
Penitentiary Bound e
Back In My Arms mostrano come Resonator Blues sia un disco sincero, ed è questa sincerità il punto di forza di Derek Davis.
La si percepisce, la si assorbe.