La
Whiskey Jam Band è di Minsk, Bielorussi con lo sguardo al ‘dirty blues’, quello grintoso con rimandi rock/punk alle digressioni nel delta blues, sono giovani ma hanno saputo cambiare rotta col secondo interessante disco, Exported, del 2018, cantato in inglese.
Pavel Bialinski, Siarhei Drasvianski e Vitaliy Valoshin spingono a mille, melodie cupe e ‘colorite’ tra
Becon e
Move Your Ass, sono come tracce in bianco e nero, di quelle che aspirano ad avere un'overdose di autenticità sotto un cielo, quello di
Pork Trumpet, livido, plumbeo, negazione della speranza.
Ma c'è Vita tra i continui giochi alla chitarra, sanno come rallentare e accompagnare una scrittura dura e quasi astratta che si fa però affascinare dalla materialità dei corpi del blues: quelli ripetitivi di
Independence Day e ipnotici di
My Lovely Honey Loves To Eat e
Big Black Mama, la Whiskey Jam Band decostruisce i sentimenti che pulsano per frammenti bluesy, istinti ombrosi, ostinati, pronti a essere stravolti senza una qualsiasi codificazione morale, e l'esplosione a ritmo di un coriaceo blues per un mondo giovanile che sogna di poter fare a meno di tutti i confini.
Le quattro mura di Pork Trumpet, trasandate e affascinanti, regalano sorprese nel finale con
Mama Told Me e
Pumpkin Hunters, e meritano di avere una di quelle patenti ‘culturali’ paludate e sicure targate USA, seppur vivano su un altro versante, quello Europeo, dove il Mississippi non si sa come definirlo.