Viaggia da solo
Bad Temper Joe, lui, il blues, l’armonica a volte, un cantastorie irriducibile nel pretendere una carriera perfettamente uguale a come la desidera, e nella quale non è detto che gli altri siano disposti a seguirlo.
Invece la gente, gli appassionati, continuano a stargli dietro e adesso che ha iniziato a elettrificare le sue storie, di certo aumenteranno.
The Maddest Of Them All è un doppio album, nel 1° cd, mischia folk, blues e il country col banjo di David Lübke, una strumentazione ridotta all’osso riesce lo stesso a catturare l’ascoltatore, le parole sono leggere ma curiosamente drammatiche, sulle contraddizioni di una società in mutamento grazie anche alla mania tecnologica.
Il blues è sempre dietro l'angolo di
Bad Gasoline e
Heartache Shuffle #13 & #36, certo, ma le influenze agresti si fanno sentire, sono piacevoli in
Hell's Gonna Fly,
Postcards Ain't Enough, e poi ci sono
Flyin' e
Highway Takes the Lonely, dove la bellezza della melodia mostra come per Bad Temper Joe sia difficile restare intrappolato sul suo ridotto palcoscenico.
The Maddest of Them All è come un'isola brulla nel secondo cd, come battuta dal vento che sale piano e avvolge con l’armonica
Bury Me Anyplace but Mississippi e nella solida
Races to Run, ma non è così tormentato dalle onde dell’elettrico, quanto basta nella ballata di
Waiting in Vain, si trascinano valenze letterarie e potenzialità metaforiche tra l’ipnotica chitarra di
Blues Never Stumbles,
Rebel River Incident, la conclusiva
Our Love (for Livia), e lì, The Maddest of Them All, è come l'alta marea che travolge ogni cosa.
Bad Temper Joe diluisce il talento tra la chitarra steel in
High Hopes e l’armonica in
Mind over Matter, ma parlano la stessa lingua, subiscono il fascino dell'altro.
The Maddest of Them All è una sfida vinta perchè in grado di moltiplicare magicamente nuovi stimoli creativi e di cui cogliere ogni aspetto vivificante ascolto dopo ascolto.