A Strasburgo può capitare di bagnarsi nel Mississippi Blues, garantisce Victor Sbrovazzo, voce, chitarra e armonica dei
Dirty Deep terzetto al quarto disco che non mantiene la linea dei dischi precedenti, con
Tillandsia i confini fra classicità e modernità del blues risultano assolutamente permeabili e soprattutto, molto vicino all’America del Sud.
Sunday Church,
Bottletree e
Wild Animal trasudano un'angoscia tangibile, avallata dalla strumentazione e da timbriche vocali che rispecchiano un paesaggio blues in complice sintonia col rock, pronto a caricarsi con l’armonica in
Shake It! e
I Want to Miss You e si entra in pieno nel gioco ritmato dei Dirty Deep, lesti a fugaci, ma penetranti ballate come
Strawberry Lips, che sanno dire molto di più di una descrizione per esteso delle divaricazioni del blues.
I riflettori all'improvviso abbandonano lo scenario plumbeo raffigurato da Tillandsia, ballate acustiche che sembrano dei demo, una spiazzante ma non deludente
You've Got to Learn o i fiati in
By the River, sono delle parentesi non del tutto fuori sincrono con Tillandsia, e comunque lasciano un senso di attesa curiosa per il prossimo lavoro dei Dirty Deep.