KEVIN GORDON (Tilt and Shine)
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  Recensione del  31/08/2018


    

Kevin Gordon è uno di quei musicisti in grado di trasmettere la vita come se ne trova molta in giro, ma il modo in cui racconta brevi storie di quotidianità vera nel Sud della Louisiana (un luogo molto diverso dalla New Orleans dove tutto sembra andare nel verso sbagliato), è qualcosa di unico e raro.
Poetica del Folk/rock sfila davanti o di fianco ad un torbido Delta & Swamp blues, la si percepisce chiara dalla distorsioni della chitarra Gibson su una storia di due adolescenti in Fire at the End of the World, la macchina dei genitori per dirigersi lì, dove terminano le ‘Highways’, verso il Golfo del Mexico ed è difficile dedicarle un’occhiata fugace.
La bellezza che sgorga dalla melodia di Saint on a Chain e Gatling Gun è diretta, diventa lo sguardo di Kevin Gordon su amici e amori passati, mentre canta tra un semplice e irresistibile groove chitarristico di prigionieri e un esibizione pericolosa in One Road out (Angola Rodeo Blues), Tilt and Shine acquisisce sempre più spessore, densità elettrica in Right on Time e Drunkest Man in Town, e la complessità nell’immaginario fosco di DeValls Bluff.
Si creano piani diversi in profondità in Tilt and Shine, a volte si lasciano attraversare dal flusso dell’introspezione nella ballata acustica di Rest Your Head, a volte costruiscono degli spazi dentro lo spazio del rock n’ roll in Get It Together, il più delle volte ‘riempiono’ non fanno mai il vuoto.
Tilt and Shine è come una scommessa, un gioco, un’ossessione della quale ci si ammala.
Da ricomporre con pazienza e assiduità, un brano dopo l’altro.