Levi Parham invita una decina di amici musicisti in Alabama e trova un’alchimia perfetta per incidere
It’s All Good, efficace come il noto paradosso della Coca-Cola: hai sete e la bevi ma, come tutti sanno, più la bevi e più hai sete.
Una sete di rock e non ti molla, da contaminare col Sud dell’America dove traboccano soul/folk/americana e così mentre in filigrana scorrono politica, economia e sociale, sale il ritmo che si sposta da sotto il tallone del potere e del male di
Badass Bob a terre desertiche dove le chitarre vibrano e solcano
Borderline e
Turn Your Love Around, in lungo e in largo (quelle di Paul Benjamin, Dustin Pittsley e Jesse Aycock, ma c’è anche John Fullbright alle tastiere), Levi Parham le forgia sul tempo del rock, sulle intermittenze del cuore e della mente che quel tempo costruisce e plasma.
Dischi come It’s All Good si vedono affiorare di tanto in tanto, oppure crediamo di scorgerli all'orizzonte anche quando non lo sono.
Comunque sia, il primo avvistamento coi quasi 8 minuti di
My Finest Hour è di quelli destinati a rimanere nella memoria individuale o collettiva a lungo, avvolgenti sono le cadenze classiche sudiste che si sprigionano da
Boxmeer Blues e
Heavy Weight, dai fugaci bagliori di malinconia di
Shade Me, tonalità e luminosità si trasferiscono al sax di una deliziosa
Kiss Me In The Morning, irradiando con la stessa crescente consapevolezza il fondo di chitarre di It´s All Good, ed emerge la propensione a una tavolozza melodica molto vivace, che esplode definitivamente.
La ballata acustica di
All The Ways I Feel For You accompagna lo scorrere liquido del tempo di un'estate che sta per arrivare, pronta ad assorbire in un pigro divenire (più che accadere) piccoli gesti e confidenze, timide aspettative e grandi trasformazioni (fregature) sociali.
Da fare insieme a Levi Parham.